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“Dio arriva nei cuori e noi vogliamo comunicarlo”: Elena Marcandella racconta il cammino pastorale

Pubblichiamo un articolo uscito su Avvenire a firma di Marco Pappalardo sul cammino pastorale del MGS durante l’Avvento.

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“Abitare nel cuore del mondo”: è il titolo del cammino pastorale del Movimento giovanile salesiano italiano, una sfida, di questi tempi. «Ci sembra di non riuscire ad essere davvero lì dove siamo chiamati – dice la coordinatrice Elena Marcandella -, pare che il tempo ci sfugga e abbia un ritmo diverso. Eppure Dio arriva proprio al punto in cui ci troviamo, in quei posti e situazioni che ci sembrano in contrapposizione con la sua presenza». Durante l’Avvento ogni territorio dell’Italia salesiana ha fatto suo l’esempio di Gesù fatto uomo e ha scelto di rendersi prossimo ai giovani con ogni mezzo: online con incontri, formazione e percorsi di preghiera. «Dio si incarna nel nostro  quotidiano – aggiunge Elena – e noi vogliamo aiutare a vivere questo percorso che porta al Natale con la consapevolezza che stiamo attendendo Qualcuno che non vede l’ora di nascere nel nostro cuore e che siamo responsabili di comunicare questa buona notizia».

Casa don Bosco resta aperta on line come museo virtuale

Pubblichiamo l’articolo di Marina Lomunno, uscito su Avvenire, sull’apertura online del museo Casa Don Bosco di Valdocco, inaugurato il 14 ottobre ma momentaneamente chiuso al pubblico per l’emergenza sanitaria.

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«Benvenuti a Valdocco, culla del carisma salesiano. Qui don Bosco e sua mamma Margherita hanno accolto i primi ragazzi di strada, i primi orfani. Qui siamo nati noi, salesiani di don Bosco. Sono sicuro che questa casa ti racconterà il grande dono che è don Bosco per i giovani e per la famiglia salesiana di tutto il mondo».

Sono le parole di don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore e decimo successore del santo dei giovani che accolgono i visitatori del nuovo Museo aperto al pubblico nella Casa Madre dei salesiani, con accesso dal cortile interno della Basilica di Maria Ausiliatrice, lo scorso 4 ottobre ma momentaneamente chiuso a causa dell’emergenza Covid.

A tagliare il nastro con le autorità (lo spazio espositivo ha il patrocinio della Regione Piemonte e della città di Torino) è stato il rettor maggiore stesso che ha sottolineato come già il nome dato al Museo “Casa don Bosco” indichi lo spirito con cui si è pensato. E cioè, in 4mila metri quadrati, tre piani e 27 spazi espositivi, si vuole condurre il visitatore dai luoghi della prima comunità dell’oratorio inventato da don Bosco, spazi poveri e semplici come il refettorio dove mangiavano i primi ragazzi, alle camerette del santo, al lungo corridoio dove passeggiava confessando i suoi giovani, fino alle testimonianze provenienti da tutto il mondo dell’avventura educativa che oggi ha raggiunto i ragazzi “discoli e pericolanti” in 133 nazioni dei 5 continenti, come ha sottolineato don Cristian Besso museologo di Casa don Bosco.

«Ciò che desideriamo trasmettere a chi entra nel Museo – evidenzia don Guido Errico, rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice – è il senso della comunità che ha creato attorno a sè don Bosco, con un piccolo nucleo di ragazzi poveri e orfani che vivevano qui giorno e notte, di una famiglia che oggi è diventata una “multinazionale educativa” con 14mila salesiani sparsi per il mondo, 30 santi e venerabili che perpetuano il sistema preventivo casa-scuola- mestiere ed educazione alla fede ma che non ha perso il senso delle origini: pastorale giovanile per i giovani più bisognosi, pastorale missionaria, devozione a Maria, pilastro del carisma salesiano».

Mamma e insegnante, una laurea in Storia dell’arte e una specializzazione in Museologia, Stefania De Vita è la direttrice del Museo che ha coordinato l’allestimento durato due anni catalogando migliaia di pezzi, «dagli oggetti personali di don Bosco a un affresco del ’300, ai paramenti dei primi collaboratori del santo, uno per tutti Michele Rua, dalle pietre che i ragazzi raccoglievano nei fiumi cittadini, il Po e la Dora, e portavano a Valdocco per costruire l’oratorio: il materiale espositivo è talmente ricco che ci sono due archivi a disposizione e i “pezzi” che non sono ancora visibili, nonostante l’ampiezza della superfice a disposizione, ruoteranno periodicamente nelle teche delle sezioni del Museo».

Insomma La Casa don Bosco non si può raccontare bisogna viverlaperché qui si respira il miracolo della vita di un santo contadino che, partito con la mamma dalle colline alla porte di Torino, ha saputo realizzare un sogno: dare speranza alla gioventù derelitta della Torino dell’Ottocento, conclude don Leonardo Mancini, ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta: «Riscoprire le nostre origini percorrendo queste sale dove è nata la famiglia salesiana ci fa riscoprire l’idea di famiglia che ha spinto don Bosco a fondare la congregazione per dare di più ai ragazzi che hanno avuto di meno. Questi muri ci ammoniscono che questa continua ad essere la nostra missione».

«Purtroppo a causa della recrudescenza dell’epidemia che con l’ultimo Dpcm ha decretato il Piemonte Zona rossa da venerdì 6 novembre il Museo è chiuso – conclude don Errico – ma in un mese di apertura abbiamo staccato ben 1.600 biglietti e avevamo già molte altre prenotazioni. Speriamo che la Pandemia si affievolisca e che nel periodo natalizio “Casa don Bosco” possa riaprire». Per il momento sul sito www.museocasadonbosco.it si può entrare nel Museo virtualmente: quando sarà possibile la visita, gratuita e se si desidera guidata dai volontari, occorrerà prenotarsi alla mail: info@museocasadonbosco.

Avvenire – Sussidio pastorale per la scuola. La Cei: studiare, per cercare un senso nella vita

Il nuovo documento della Commissione CEI per l’educazione cattolica, nel giorno di riapertura delle scuole, incoraggia tutti a “testimoniare, discernere e servire”. Di seguito l’articolo pubblicato da Avvenire a cura di Enrico Lenzi.

Da «una pastorale “della” scuola» a «una pastorale “per” la scuola». Sta tutto in questo cambio di preposizione il senso del nuovo sussidio che lunedì 14 settembre, nel giorno di riapertura ufficiale delle scuole in Italia, viene pubblicato dalla Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università. Si tratta di un documento che in qualche modo si pone al termine del decennio che la Chiesa italiana ha voluto dedicare al tema dell’educazione (gli Orientamenti pastorali 2010/2020 sull’Educare alla vita buona del Vangelo), ma che al tempo stesso intende rivolgere il proprio sguardo al futuro, come sottolinea nella sua presentazione il vescovo Mariano Crociata presidente della stessa Commissione Cei.

Del resto, ribadisce il sussidio – intitolato significativamente «Educare, infinito presente» -, per «la Chiesa la scuola è una realtà da amare in cui stare con passione e competenza, contribuendo alla costruzione del progetto scolastico».

Ma se la presenza e l’attenzione della comunità cristiana al tema della scuola ha radici lontane, quello che deve cambiare secondo il documento della Commissione episcopale, è la modalità di approccio e lo stile di presenza. Un cambio al quale sono chiamati tutti: dai docenti ai genitori, dagli studenti al personale, fino alle realtà educative e alle stesse parrocchie. Insomma «l’attenzione alla scuola deve diventare una responsabilità di tutta la comunità». Proprio per questo, riflettono i vescovi della Commissione, non si può continuare a procedere «a compartimenti stagni», cioè con pastorali che prendano in considerazione solo un unico aspetto senza mettersi a confronto con altre che hanno come destinatari gli stessi ragazzi e giovani.

Il documento della Cei (nella versione integrale) – che si suddivide in tre parti più una quarta che riporta testi, interventi, discorsi sul tema della scuola e dell’educazione – offre una analisi e una osservazione sull’esistente, a cominciare «dalla difficile esperienza vissuta nei primi mesi del 2020 con l’improvvisa e prolungata chiusura delle sedi scolastiche a causa della pandemia». E se il ricordo alla didattica a distanza «ha permesso di limitare le conseguenze sulla crescita e l’apprendimento degli alunni», ha anche «fatto affiorare interrogativi di fondo sul ruolo della scuola nella società, sul valore insostituibile della relazione educativa, sull’apporto integrativo delle tecnologie nella didattica». Secondo il sussidio Cei, infatti, alla base di qualsiasi intervento nella scuola, «non può dimenticare che la relazione educativa è il suo cuore», in un «patto di corresponsabilità che lega in primo luogo insegnanti e alunni, ma si estende anche all’interno del corpo docente, alle famiglie e alle forze vive del territorio in un dialogo che riconosce a ciascuno le proprie responsabilità specifiche e pone tutti in rapporto di rispettosa collaborazione». Proprio la collaborazione è l’approccio auspicato da quel cambio di preposizione – “per” – che il documento propone. Il tutto per «ridare senso alla routine dello studio, perché lo studio serve a porsi domande, a non farsi anestetizzare dalla banalità, a cercare senso nella vita».

Un obiettivo proposto alla scuola e a tutte le sue componenti (a cui il testo riserva singoli spazi), richiamando tutti e ciascuno ai valori della «testimonianza, del discernimento e del servizio». Ovviamente i vescovi italiani indicano questo cammino in primo luogo alle comunità cristiane (parrocchie, associazioni, gruppi professionali e altro), pur ribadendo che nella crescita completa di una persona «non può mancare la dimensione religiosa», che la Chiesa offre con la presenza dell’insegnamento della religione cattolica (Irc) anche nella scuola statale.

Questo coinvolgimento di tutti vuole portare al superamento «della frammentazione all’integrazione dell’azione pastorale», che vuol dire «realizzare un modo di pensare e un agire pastorale davvero unitario e centrato sulla persona. I giovani hanno bisogno di essere aiutati a unificare la vita» e la «pastorale per la scuola può essere un prezioso banco di prova per sviluppare un agire più integrato e aperto a diverse presenze». Anche per questo il sussidio ribadisce l’importanza di un Ufficio nazionale della scuola e quello dell’Irc, il Centro studi della scuola cattolica e il Consiglio nazionale della scuola cattolica. E un capitolo è dedicato proprio alla scuola cattolica e ai corsi di formazione professionale di area cattolica che «hanno un ruolo primario di promozione e di riferimento nella pastorale per la scuola».

Il sussidio Cei offre a tutta la scuola – cattolica e paritaria – anche alcuni esempi progettuali da mettere in campo: da momenti religiosi offerti alla scuola alla Settimana dell’educazione che diverse diocesi realizzano da qualche anno; dal sostegno allo studio all’attenzione vero l’orientamento, per citarne alcuni.

La risposta del direttore di “Avvenire” alla lettera della prof.ssa della Scuola Salesiana di Bra

In merito alla realtà che stanno vivendo le scuole paritarie, si riporta di seguito la risposta di Marco Tarquinio, direttore del quotidiano “Avvenire”, alla lettera delle prof.ssa Lorenza Fissore, docente di matematica e scienze e vicepreside della Scuola media salesiana di Bra.

Caro direttore,
#NONSIAMOINVISIBILI: questo slogan è stato condiviso da molti docenti della scuola pubblica paritaria in questi giorni, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla libertà di ogni lavoratore nella scelta del luogo di lavoro. Come le famiglie dovrebbero avere pari opportunità di scelta per la scuola dei propri figli, così noi docenti dovremmo avere gli stessi diritti dei colleghi delle scuole statali. I motivi di disparità sono in primo luogo ideologici. È diffusa l’opinione che un insegnante lavora nella scuola paritaria perché non ha avuto altre opportunità nella scuola statale; dunque il suo impiego è temporaneo, in attesa del famigerato “ruolo”. Ma non è così!
Se per qualcuno può essere solo un impiego di passaggio, per molti docenti della scuola paritaria, nel mio caso salesiana, il lavoro diventa una missione di vita.

Ritengo offensivo il pensiero che si rimanga a lavorare in un istituto paritario solo perché non ci sia posto in uno statale. Posso testimoniare che in molti anni di attività ho ricevuto tante convocazioni annuali e ho sempre esercitato il mio diritto di scelta nel rimanere all’interno della famiglia salesiana.

Un altro nodo importante è la mancanza di sicurezza per il futuro, che spinge molti docenti ad accettare, magari a metà della propria carriera lavorativa, un posto statale, perché temono che la loro scuola paritaria possa chiudere e quindi si troverebbero senza un lavoro. Devono così effettuare una scelta difficile, che non vorrebbero fare, ma che diventa necessaria per la loro stabilità futura. Senza contare che anche lo stipendio, purtroppo, non è lo stesso, perché spesso è sensibilmente minore e, oggi come ieri, l’aspetto economico non va sottovalutato.

Quello che auspichiamo è una parità di trattamento per tutti i docenti della “scuola pubblica”, sia essa statale o paritaria, che tenga in considerazione il lavoro di qualità portato avanti da molti istituti e la passione educativa dimostrata da molti docenti.

Lorenza Fissore
Bra (Cn)

La sua lettera è davvero bella e incalzante, cara professoressa Fissore. La ringrazio. E le dico, per quel che vale, che ne condivido totalmente senso e speranza. Credo che lei riesca a interpretare con efficacia i sentimenti di tantissimi insegnanti che lavorano – altro che «invisibili»! – nella scuola paritaria, e specialmente nella scuola paritaria cattolica. E lo fanno con dedizione e convinzione piene e quasi sempre, come lei ricorda, con ulteriore sacrificio rispetto ai colleghi delle scuole statali (quante volte ho scritto che va ricostruita anche la “reputazione” e la concreta condizione retributiva di coloro che lavorano nel più importante laboratorio di futuro di un Paese!).

Il vostro è un lavoro integralmente al servizio di ragazze e ragazzi in carne e ossa, e ispirato a una solida idea di istruzione come “bene pubblico”, alla quale dà anima laica e cristiana il lascito di straordinarie figure di educatori come san Giovanni Bosco. È un’idea che dà senso e forza a tutta la migliore scuola italiana che, purtroppo – come sappiamo bene e come la sfida della pandemia sottolinea –, conta più su una generosa rete di persone di qualità che su strutture ovunque e sempre all’altezza. Eppure qualcuno si ostina ancora a non capire che l’idea della “scuola di tutti” è profondamente cara ai cattolici, che negli anni della loro centralità politica – quando esisteva la Dc ed era il partito perno del nostro sistema democratico – l’hanno progettata, costruita e consolidata.

Eravamo ancora nella stagione che poi abbiamo chiamato della Prima Repubblica, e bisogna essere grati alle visioni riformatrici e alle capacità realizzative di personalità come Guido Gonella, Luigi Gui e Franca Falcucci. Il paradosso è che, nella complicata stagione successiva, quella della cosiddetta Seconda Repubblica, c’è voluto un laico di altrettanto grande intelligenza e determinazione come Luigi Berlinguer per finalmente introdurre per legge, all’alba del XXI secolo, l’idea di un sistema scolastico nazionale in cui questo essenziale servizio pubblico fosse garantito da scuole statali e scuole non statali paritarie. Una concezione, purtroppo, ancora lontana dall’essere attuata. E che rischia di sbriciolarsi sotto i colpi di maglio del Covid-19. Nonostante il primo soccorso d’emergenza da 150 milioni infine garantito dal governo Conte, molti istituti paritari rischiano di non di sopravvivere a questa durissima prova. Servono risposte tempestive.

Potrei ancora una volta citare eloquentissimi numeri, cifre, dati che dimostrano il valore pubblico della scuola paritaria accanto e insieme alla scuola statale.

L’abbiamo fatto un’infinità di volte. Preferisco invitare a rileggere le sue parole, cara professoressa, e la lezione di dignità, di professionalità e di «salesiana» passione civile che contengono. E che mi permetto di sintetizzare così: una limpida e libera volontà di insegnare nella scuola paritaria per far migliore la “scuola pubblica”. È la strada che la legge della Repubblica indica ormai da vent’anni. E lo hanno ben chiaro non solo le associazioni di settore e sindacati tradizionalmente consapevoli e attenti, ma anche uomini e donne di scuola liberi da pregiudizi.

Per questo è utile riflettere sull’intervista di Enrico Lenzi al leader della Flc-Cgil, Francesco Sinopoli (https://tinyurl.com/paritariecgil). La sorte degli istituti paritari e degli insegnanti che ci lavorano non è un affare privato, è un problema comune. E decide il presente e il futuro della “scuola di tutti”.

(Marco Tarquinio, Direttore di Avvenire – Sabato 30 maggio 2020)

Il cuore salesiano di Torino invoca la Vergine: insegnaci ad essere più solidali

Il racconto della Solennità di Maria Ausiliatrice, tenutasi a Valdocco domenica 24, grazie all’articolo di Marina Lomunno (pubblicato su Avvenire) ed alla foto gallery, gentilmente realizzata, dal salesiano Antonio Saglia.

>Leggi anche la notizia del 31 maggio su La Voce e il Tempo, a cura di Marina Lomunno

Ci sono “scatti” che resteranno fissi nella memoria e testimonieranno alle generazioni future cosa è stata la pandemia che stiamo vivendo: tra queste, sicuramente per i torinesi (e per i 132 Paesi dove sono presenti i salesiani, collegati domenica tramite la tv e i social con Valdocco) l’immagine della statua di Maria Ausiliatrice nella piazza antistante la Basilica vuota, con ai piedi l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, accompagnato dal Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime.

Causa coronavirus la tradizionale processione che chiude la festa liturgica di Maria Ausiliatrice, giunta alla 152a edizione e che raduna oltre 20mila persone, non si è snodata per le vie della Torino di don Bosco per poi confluire nella piazza gremita per la benedizione. Non era mai accaduto neppure in tempo di guerra che la statua dell’Ausiliatrice non uscisse per la processione: per questo l’arcivescovo, al termine del Rosario pregato in Basilica con un numero “contingentato” di fedeli in mascherina con le “decine” della corona affidate alle comunità salesiane sparse per il mondo e collegate via social ha rivolto una supplica alla Madonna perché liberi il mondo dal virus. «Ti chiediamo protezione e conforto – ha chiesto Nosiglia – conforta i malati, coloro che hanno perso un congiunto a causa del virus, sostieni i medici e gli operatori sanitari che hanno rischiato la vita per salvarne altre, guarda i giovani, rendili coraggiosi e forti, aiutali a sognare anche se siamo nella prova e fai in modo che da questa pandemia impariamo a costruire una società più solidale con chi soffre». La giornata è stata scandita fin dal primo mattino dalle Messe molto partecipate ma regolate da un rigoroso servizio d’ordine gestito dai volontari della Basilica col “numero chiuso” in chiesa ma la possibilità di prendere parte alle celebrazioni anche nell’ampio cortile. «Il desiderio era di vivere questa solennità e la novena che l’ha preceduta – ha detto don Enrico Stasi, ispettore dei salesiani di Piemonte e Valle d’Aosta – aprendo il cuore e confidando a Maria paure e speranze che animano questi giorni: solo così potremo sperimentare la dolcezza dell’essere protetti sotto il suo manto».

Tra i celebranti, Nosiglia (alle 11) e padre Carmine Arice, superiore generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza, che ha evidenziato come sia una grazia ritornare a celebrare la Messa «in questo tempo di sofferenza e di forzato digiuno eucaristico» proprio nella domenica dell’Ascensione che quest’anno cade nella festa di Maria Ausiliatrice.

Nel pomeriggio l’Eucaristia con una rappresentanza del Movimento giovanile salesiano presieduta dal Rettor Maggiore, riconfermato alla guida della congregazione lo scorso marzo nel Capitolo celebrato a Valdocco e chiuso in anticipo per il Covid-19. «Oggi Gesù ci assicura che sarà con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo – ha sottolineato Artime – carissimi giovani anche oggi in questo tempo in cui sperimentiamo la nostra fragilità, siete chiamati a testimoniare Gesù con la vostra vita, soprattutto verso i più poveri, scartati, sofferenti: i preferiti per il cuore salesiano, come ci insegna papa Francesco che abbiamo visto solo nella preghiera del 27 marzo in piazza San Pietro. Ma mai come in quel giorno è stato accompagnato da tutto il mondo non solo cristiano. Questi sono i segni della consolazione che cambiano il mondo».

MARINA LOMUNNO
Torino

Avvenire: “Salesiani per i giovani, oggi” – CG28

Nella giornata di ieri, 23 gennaio, si è tenuta la Conferenza Stampa di presentazione del 28° Capitolo Generale della Congregazione Salesiana (CG28) presso la Sede Centrale Salesiana a Roma, alla presenza del Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, del card. Cristóbal López Romero sdb arcivescovo di Rabat, di don Stefano Vanoli, regolatore dei lavori del 28° Capitolo Generale,  e di don Giuseppe Costa sdb, giornalista e già Direttore della Libreria Editrice Vaticana.

Nella giornata di oggi, il quotidiano Avvenire dedica un articolo sul prossimo Capitolo Generale della Congregazione Salesiana con particolare riferimento alla presenza di alcuni ragazzi che saranno parte attiva dei lavori del Capitolo sul tema “Quali salesiani per i giovani d’oggi?“.

Si riporta di seguito l’articolo pubblicato in data odierna da Avvenire, a cura di Gianni Cardinale.

Salesiani per i giovani, oggi

A Valdocco (Torino) dal 16 febbraio al 4 aprile prossimi il 28° Capitolo generale
Tra le novità più importanti la partecipazione attiva ai lavori di alcuni ragazzi

(Roma – 24/01/2020 Pag. 22) – «Quali salesiani per i giovani d’oggi?». È questo il tema del 28° capitolo generale della Congregazione salesiana in programma a Torino dal 16 febbraio al 4 aprile.

Per il rettor maggiore don Angel Fernández Artime sarà l’occasione per individuare le priorità dei figli di don Bosco nel lavoro apostolico dei prossimi sei anni. Con due cardini specifici propri per questo Capitolo: la sintonizzazione con i giovani in un mondo che cambia a ritmi sempre più vertiginosi, e la consapevolezza di lavorare insieme con i laici in questa missione.

Ieri la presentazione dell’evento presso la Sede Centrale Salesiana a Roma, nell’opera del “Sacro Cuore”, coordinato da don Giuseppe Costa, giornalista e già direttore della Libreria Editrice Vaticana. Presenti, oltre al rettor maggiore, il cardinale Cristobal López Romero, arcivescovo di Rabat, e don Stefano Vanoli, Regolatore del Capitolo, che ha offerto alcuni dettagli sull’assise, tra cui la novità della presenza di alcuni giovani e laici che parteciperanno, in due diverse settimane, ai lavori.

Il capitolo si terrà a Valdocco.

«È un ritorno a casa, alle origini, lì c’è Don Bosco. Non è la stessa cosa fare un incontro lì o altrove»,

ha spiegato don Fernández Artime, che ha ribadito l’impegno che contraddistingue i salesiani da sempre e che vuole essere mantenuto anche in futuro, quello di vivere il proprio carisma con concretezza e realismo, per ottenere sempre il massimo possibile in favore di tutti i giovani del mondo – cristiani, musulmani, induisti, agnostici… – e specialmente di quelli più poveri e privi di risorse. Soprattutto attraverso l’educazione.

«Quando la Chiesa, la Congregazione fanno qualcosa che non va, – ha precisato il rettor maggiore – quando ci sono errori, sbagli e fragilità, è giusto dirlo. Ma in oltre 100 nazioni ho visto davvero anche quanto bene viene fatto dai salesiani e dalla Chiesa». Il decimo successore di don Bosco, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha illustrato l’impegno dei salesiani in alcune regioni particolari, come il Venezuela, dove la Congregazione ha aiutato – anche economicamente – non solo alle opere salesiane ma anche le famiglie e le realtà più bisognose, come la Siria, con i salesiani che non hanno abbandonato quella popolazione martoriata dalla guerra, e l’Africa dove «sicuramente la vita di migliaia di giovani non sarebbe la stessa senza l’educazione salesiana».

Per il cardinale López Romero, che l’altra sera è stato ricevuto in udienza dal re del Marocco,

«oggi come mai è necessario che i salesiani continuino a essere presenti nelle periferie, nelle frontiere, nei luoghi di guerra, proprio come ci ha indicato don Bosco, il cui carisma è stato missionario fin dal primo momento».

L’arcivescovo di Rabat, che papa Francesco ha onorato con la porpora nell’ultimo Concistoro, ha ricordato che i salesiani hanno

«una grande capacità di adattarsi ai diversi contesti anche politici e di essere realisti, in quanto il loro unico obiettivo è quello di agire per il bene dei giovani».

«Ciò – ha spiegato – non significa però non essere critici. Vediamo le difficoltà ma cerchiamo di superarle con l’educazione e la formazione. Così come i radicalismi che sono generati esclusivamente dall’ignoranza».

Citando il celebre invito di don Bosco a formare “buoni cristiani e onesti cittadini” il cardinale ha poi osservato che esso si applica felicemente anche nei contesti a maggioranza musulmana.

«Sono convinto – ha osservato – che se don Bosco fosse oggi nei Paesi musulmani, trasformerebbe il suo famoso slogan dicendo: “Onesti cittadini e buoni credenti”».

Don Bosco infatti «avrebbe assimilato il Concilio Vaticano II e lo avrebbe messo in pratica, evitando il proselitismo (che all’epoca era normale) e impegnandosi nell’ecumenismo e nel dialogo interreligioso».

Da sapere

Ordinariamente il Capitolo generale dei salesiani si raduna ogni sei anni per fare il punto della situazione, tracciare le linee per il sessennio successivo, ed eleggere il rettor maggiore e gli altri membri del Consiglio Generale. Quest’anno i capitolari saranno 243 tra aventi diritto di voto e in vitati. Lo spagnolo don Angel Fernandez Artime, 60 anni, è stato eletto rettor maggiore nel precedente Capitolo del 2014 ed è rieleggibile per un altro mandato.

La presenza dei «figli» di Don Bosco 14.618 i salesiani nel mondo (132 vescovi, 14.056 professi e 430 novizi) 1.392 coadiutori, con 28 diaconi permanenti, in 1.802 opere erette canonicamente 3.643 scuole e istituti con 940mila allievi e 68mila docenti e formatori 830 centri di formazione professionale, 200mila allievi e 15mila docenti.

Oratorio: crescere insieme, nella comunità, sul territorio – il frutto del terzo Happening nazionale (H3O)

Si riporta l’articolo redatto da Umberto Folena e pubblicato da Avvenire il 7 settembre scorso in merito ai risultati e alle conclusioni del terzo Happening nazionale degli oratori che si è tenuto a Molfetta dal 4 al 6 settembre 2019.

L’incontro. L’oratorio ha un progetto: crescere insieme, nella comunità, sul territorio.

Si è concluso a Molfetta il terzo Happening nazionale. Don Falabretti a sacerdoti e animatori: abbiate a cuore l’intera comunità.

All’ultimo atto del terzo Happening degli Oratori (H3O), ormai il titolo calembour “Facciamo fuori l’Oratorio” dovrebbe essere chiaro. E proprio all’ultimo atto, nella chiesa del Seminario regionale pugliese di Molfetta che ha ospitato i 500 tra giovani, preti e suore, rappresentanti dell’immenso variegato popolo degli oratori italiani, don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile, lo ricorda, lo ribadisce, lo incide nelle menti e nei cuori affinché non ci sia possibilità di equivoco.

“Far fuori” significa dare più importanza alle persone, che fanno oratorio, che ai muri dell’edificio oratorio. Non significa andare chissà dove, perché non si tratta di una questione meramente geografica; e comunque sarà il “fuori” a venirci incontro. Significa piuttosto rimanere in ascolto e modulare il progetto educativo sulla base delle voci – sussurri e grida di speranza o disperazione, interesse o indifferenza – che giungono da “fuori”.

Falabretti si fa aiutare da un amico antico, un salesiano bergamasco morto ancor giovane, 15 anni fa, quando era da poco vescovo a Belluno-Feltre, uno che l’oratorio e la passione per i giovani li aveva nel sangue: Per don Vincenzo Savio l’oratorio dovrebbe essere come una tenda. Leggero, che si possa spostare, perché se oratorio sono innanzitutto le persone, allora si può “fare oratorio” ovunque. Sottile come una tenda anche per un altro motivo:

«La tenda ti permette, mentre ci stai dentro, di cogliere le voci di chi sta fuori».

“Far fuori”, conclude Falabretti, significa dunque

«ascoltare questo nostro tempo. Abbiamo delle certezze? Certamente. Ma non sono un gabbia, un “circolo” da cui nulla esce e in cui nulla entra. La Chiesa non ha mai avuto paura di incontrare le persone per ciò che sono, mai avuto paura di cambiare».

Lo ripete più volte:

«Gli altri non saranno mai esattamente come noi li vorremmo. “Far fuori” significa incontrarli per ciò che sono”, comodi o scomodi, gratificanti o ruvidi. “Far fuori” è “il coraggio di cambiare ciò che va cambiato».

È la storia dell’oratorio. Don Bosco creò una novità, partendo dalla scuola, dando parole e numeri a ragazzi che ne erano privi e a cui nessun altro avrebbe pensato. L’oratorio, negli anni a venire, avrebbe dato musica, teatro e sport a chi altrimenti ne sarebbe stato privo:

«Sapeva intercettare i bisogni umani», e da qui parlare all’anima. «Il mondo bussa alla nostra porta», non lo sentiamo?

Nulla però accade da sé, nulla è automatico. Nelle tre giornate di H3O una delle parole-chiave è stata “progetto”. L’oratorio ha bisogno di

«un progetto legato al territorio in cui viviamo, il territorio geografico e soprattutto umano, territorio sempre diverso in Italia. Solo così l’immutabile Vangelo potrà essere declinato in tanti modi diversi».

Da qui la necessità di dare spessore al profilo dell’educatore, colui al quale per primo è affidato il progetto, mai cavaliere solitario perché il progetto appartiene alla comunità, di cui l’educatore è interprete.

Il mosaico manca ancora di una tessera, il ruolo “politico” dell’oratorio. Falabretti guarda negli occhi i giovani uno per uno:

«Quando la città non ha più tempo né voglia di prendersi cura dei più piccoli, ci siete voi, con un servizio fatto di legami, custodia e servizio, che non ha prezzo».

E questa è politica, in senso lato ma lo è perché interessa la polis.

«Voi non animate solo i ragazzi. Voi animate una comunità intera».

anche nella più remota delle periferie, l’oratorio può essere il centro.

Servizio civile – Pochi fondi, un quarto di volontari in meno

L’allarme alla presentazione del XVIII Rapporto Cnesc in merito al rischio di una contrazione del Servizio civile.

Si riporta l’articolo pubblicato su Avvenire mercoledì 3 luglio 2019, a cura di Luca Liverani.

L’allarme alla presentazione del XVIII Rapporto Cnesc. Licio Palazzini: nel 2019 ci saranno 12 mila ragazzi in meno. Titti Postiglione, capo dell’Ufficio servizio civile: incrementeremo i fondi.

Con il fondo nazionale per il servizio civile di quest’anno, inferiore a quelli del 218, il contingente di giovani nel 2019 si ridurrà quasi di un quarto. L’allarme arriva dalla Conferenza degli enti di servizio civile, alla presentazione del XVIII Rapporto annuale. Ma dall’Ufficio nazionale per il Servizio civile universale arrivano rassicurazioni: è in preparazione un emendamento per riportare la dotazione economica a livelli sufficienti ad avviare in servizio lo stesso numero di volontari e volontarie.

A segnalare il rischio di una forte contrazione del servizio civile è Licio Palazzini, presidente della Cnesc, l’organismo che riunisce 23 tra i più grandi enti che gestiscono progetti negli ambiti dell’assistenza sociale, della cultura, dell’educazione, della salvaguardia dell’ambiente e dei beni artistici (tra gli altri Acli, Anpas, Papa Giovanni XXIII, Avis, Caritas, Cnca, Confcooperative, Misericordie, Diaconia Valdese, Salesiani per il sociale, Focsiv, Don Calabria, Unitalsi). «Con i fondi attualmente disponibili – sottolinea Palazzini – partiranno circa 12 mila volontari in meno posti rispetto al 2018, per questo chiediamo anche di recuperare le risorse non attivate lo scorso anno». Oggi il fondo nazionale del servizio civile può contare su risorse per circa 230milioni di euro, risultato della somma dei 189 milioni stanziati per quest’anno più un residuo di altri 40 dell’anno scorso. L’anno precedente il fondo arrivava a 300 milioni. Dai 53 mila volontari del 2018 si scenderebbe dunque a soli 41 mila.

Il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Vincenzo Spadafora, con delega per il servizio civile, ha già reso nota la volontà di riportare, nel prossimo bando di fine agosto, il contingente dei volontari allo stesso livello di quello dell’anno scorso. E l’annuncio che il governo non intende ridurre il numero dei volontari arriva dalla coordinatrice dell’Ufficio nazionale del Servizio civile universale: Titti Postiglione, da un paio di mesi alla guida dell’Ufficio dopo una lunga esperienza ai vertici della Protezione civile, assicura che

«è in corso l’iter per la presentazione di un emendamento a uno dei provvedimenti in discussione in questi giorni in Parlamento, per incrementare il fondo nazionale del servizio civile, al fine di garantire un maggior numero di giovani per il prossimo bando. Saremo attentissimi a seguirne ogni passaggio».

Dal XVIII Rapporto Cnesc emergono le dimensioni del contributo dei tanti enti della Conferenza alle buone pratiche di cittadinanza attiva: nel 2017 i volontari hanno prodotto oltre 19 milioni 357 mila di ore di servizio, di cui 18 milioni 606 mila in Italia e 751 mila all’estero. Una mole di servizi che i fondi destinati dallo Stato agli enti nemmeno copre completamente. Lo stanziamento pubblico per i progetti di servizio civile degli enti Cnesc approvati sono stati più di 83 milioni di euro per rimborso forfettario per la formazione, assegni mensili ai giovani, assicurazioni. Ma gli enti hanno speso quasi 96 milioni tra costi diretti, figurativi e di valorizzazione del lavoro gratuito

Altre difficoltà potrebbero arrivare per i giovani stranieri “arruolati” nei progetti di servizio civile, possibilità confermata nella riforma del Servizio civile universale. Chi perde il permesso di soggiorno infatti è costretto ad abbandonare il servizio in cui prestava la sua opera di volontario. Le Acli segnalano un caso a Frosinone, ma potrebbe non essere l’unico, dato che al momento non vengono sempre rese note le motivazioni di un eventuale abbandono. Il decreto sicurezza infatti ha operato una stretta sul rinnovo del “permesso umanitario”, quello che veniva rilasciato dalle Commissioni a chi faceva domanda di protezione internazionale e non aveva sufficienti titoli per il permesso per asilo politico o per protezione sussidiaria. Diversamente da prima, ora può essere rinnovato solo in sei casi (gravi motivi di salute, calamità nel paese d’origine, atti di valore civile, vittime di tratta, violenza domestica, grave sfruttamento). Altrimenti non c’è rinnovo e lo straniero diventa irregolare. Anche se sta svolgendo il servizio civile volontario, utile al Paese ospitante e come percorso di integrazione.

«Il requisito richiesto agli stranieri che vogliono fare il servizio civile – spiega il capo dell’Ufficio Titti Postiglione – è che siano regolarmente soggiornanti: con uno sforzo interpretativo abbiamo stabilito che se il permesso scade mentre il giovane straniero, avendo presentato domanda, è in attesa della risposta, resta in lista. Se però la domanda di rinnovo viene respinta, perde il requisito».

Un dono della Chiesa a tutta la società. Oratori estivi futuro in gioco

L’oratorio è aperto tutto l’anno. Ma è d’estate che meglio spalanca le sue porte e spiega le sue ali.

Si riporta l’interessante articolo pubblicato su Avvenire martedì 11 giugno 2019, a cura di Umberto Folena.

L’oratorio è aperto tutto l’anno. Ma è d’estate che meglio spalanca le sue porte e spiega le sue ali. L’oratorio è un luogo fisico. Sta fermo dove sta. Ma in realtà saltella per il quartiere e il paese, i suoi brusii scivolano di qua e di là e dicono una verità antica e oggi controcorrente: se gli altri consumano, noi produciamo.

Antico e nuovissimo, l’oratorio ha un immutato valore religioso: qui il Vangelo dell’amicizia, dell’accoglienza, della gioia, dell’ospitalità viene vissuto e sperimentato concretamente, prima ancora che proclamato. Ma ha sempre più un sorprendente valore sociale e civile. Il mondo occidentale, Italia compresa, tende a disintegrarsi in una massa disordinata di individui che nulla sembrano avere in comune – non valori e speranze condivisi, non uno stesso futuro da perseguire insieme – tranne l’impulso a consumare. Consumare merci, materiali e immateriali.

Anche la paura, la rabbia, il risentimento infatti diventano “merci” estremamente redditizie quando c’è da mietere il consenso e raccattare voti. Tutto è scambio commerciale e nulla ti do se non in cambio di qualcos’altro. Una società del genere procede per esclusioni e chiusure ed è destinata a evaporare: l’organismo si dissolve nei suoi singoli atomi. Destino scritto? No. Primo, perché non è questa la verità scritta nel “dna dell’anima“. Secondo, perché c’è chi resiste e si ostina a fare esattamente il contrario. Come l’oratorio. Non esclude ma include. Non consuma ma produce. Non disintegra i legami ma costruisce e rinsalda relazioni. Lo fa con la sintassi antica del gioco, del dialogo, dell’accoglienza. Dell’aiuto a chi ha bisogno. Pensando anche e soprattutto agli altri, perché gli altri sono la via obbligata della nostra felicità.

Se nella società di consumatori tutti sono in competizione contro tutti, nella società alternativa, di cui l’oratorio è sentinella e avanguardia, si collabora e i talenti individuali sono messi al servizio del gruppo, della squadra, della compagnia, della comunità. L’oratorio è la scuola dove questo linguaggio, un tempo appannaggio innanzitutto della famiglia, continua a essere appreso e praticato. L’oratorio è scuola sempre.

Lo è quanto organizza dibattiti alti e riflessioni profonde, con l’aiuto di persone sapienti ed esperte: maestri. Ma lo è anche nelle attività ordinarie sulla cui natura tendiamo a sorvolare. Il gioco, ad esempio, è la scuola dove si apprende la necessità di regole condivise, di un bersaglio a cui mirare insieme, un progetto da perseguire, strategie e tattiche da elaborare. Collaborare, organizzarsi, diventare comunità in cui nessuno resta indietro perché tutti, a cominciare da chi corre più forte, sa voltarsi indietro e aspettare, aiutare, sorreggere, incitare.

Nessuno è consumatore frustrato, perché non in grado di reggere la corsa forsennata alle merci modaiole e agli istinti da assecondare, sempre contro qualcuno o qualcosa. Ma ciascuno sa che si vince o si perde insieme. Anche questo gioco ha bisogno di maestri, ossia educatori appassionati e capaci. Proprio quello che troppo spesso manca un po’ ovunque: in famiglia, a scuola, al lavoro.

Così pure ogni altra attività, dallo spettacolo teatrale al concerto alla raccolta di aiuti per il missionario amico, educa alla collaborazione. L’oratorio è aperto tutto l’anno ma in estate spalanca le sue porte, gioca le sue carte migliori e mette in campo le sue forze speciali. È un bene prezioso che la Chiesa mette a disposizione dell’intera società, per la quale diventa inestimabile. Cosa serissima, all’oratorio bisognerebbe guardare con sempre maggior rispetto e ammirazione. Da parte di quelli che perseguono la disgregazione e la chiusura, con preoccupazione.