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Buonanotte Missionaria Aprile 2023 – Don Felice Molino, Sdb

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

Per questo mese di aprile, don Felice Molino condivide con noi un aggiornamento sulle attività Salesiane in Kenya.

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Cari amici e confratelli,

sono contento di rivolgermi a voi anche se ormai, vivendo il mio 42º anno diKenya, non ho la fortuna di conoscere tanti di voi. Difficile parlare a ruota libera. Chiedo allo Spirito Santo, alla Madonna e a Don Bosco di guidare un po’ i miei pensieri confusi.

Il Kenya sta vivendo un momento molto difficile perché sta venendo sempre più a galla un malcontento generale nella gente che vive una povertà sempre più grande che spesso diventa miseria. Adesso ci sono rivolte programmate dal capo dell’opposizione ogni lunedì e ogni giovedì. I negozi rimangono chiusi, le fabbriche lavorano a metà ritmo, polizia ed esercito sono sguinzagliati in tutto il paese perché la rivolta avviene in tutte le città più importanti del Kenya. Così il Kenya si impoverisce ulteriormente. Il capo dell’opposizione, che incita alla rivolta, porta a motivo l’altissimo rincaro dei prezzi e poi il fatto che secondo lui, nelle elezioni dello scorso anno, era lui il vincitore. Quest’ultima è la vera ragione della sua protesta. Tutti i leaders politici lavorano per uno scopo solo: la loro ricchezza ed il loro potere. Nel frattempo il presidente eletto, guarda caso, non si trova in Kenya, ma prima in Germania e adesso in Belgio. Non mi meraviglierei che fosse là non solo per gli interessi del Paese, ma soprattutto per acquistare azioni nelle grandi aziende Europee ed esportare le ricchezze che ha accumulato in Kenya. In questo, non farebbe altro che imitare il suo predecessore che ha investito le sue ricchezze in molte aziende francesi, come Carrefour, e ha venduto ai francesi, restando però l’azionista più grosso, quasi tutte le aziende che fanno riferimento al latte e ai suoi derivati di cui, in Kenya, lui detiene il monopolio.

Tutto questo avviene con la complicità e la gioia grandissima di tantissimi paesi del mondo che guardano all’Africa come alla più grande risorsa per il loro benessere. I capi di governo africani, con la compiacenza di tantissimi capi di governo del mondo, stanno vendendo non l’Africa, che rimane dov’è, ma gli africani che stanno diventando più schiavi di prima.

Cosa fare? Per noi Salesiani non resta altro che imitare Don Bosco. Don Bosco, i giovani poveri non li accoglieva, ma andava a cercarli. È quello che dobbiamo fare noi in questo momento con gli oratori, le scuole e i centri professionali, nonché con le numerose parrocchie che ci vengono affidate. Ma in tutto questo dobbiamo sempre vincere la tentazione di fare dei centri per la élite, sia pure intellettuali. Il rischio grande e di aiutare quelli che sono già aiutati dalla natura o quelli che non hanno affatto bisogno del nostro aiuto, dato che fanno parte della classe media o addirittura ricca.

Don Bosco in Africaè un vero miracolo. In quarant’anni ha conquistato 44 paesi dell’Africa con un dispiegamento (come diceva Don Egidio Viganò nel 1985, intravvedendo il futuro) di una enorme quantità di denaro, tutto dovuto alla Provvidenza; di un numero grandissimo di generosi volontari e di un grande numero di Salesiani che hanno creduto in questo progetto e da tutto il mondo sono arrivati in Africa. Oggi Don Bosco Tech Africa, l’organizzazione salesiana che riunisce tutti i centri professionali salesiani dell’Africa, può presentarsi alle organizzazioni mondiali con oltre 100 centri professionali altamente qualificati, se si considera l’attuale situazione dell’Africa. Il numero dei Salesiani locali è cresciuto grandemente in Africa e, dal prossimo settembre, la Tanzania, che faceva parte della nostra Ispettoria, diventerà Ispettoriaa sé. È una consolazione grande perché dice che Don Bosco lavora con impegno e seriamente in Africa. Al momento, abbiamo 17 pre-novizi in Kenya e 7 in Sudan. Con molta probabilità ad agosto avremo più di 20 novizi.

Non mi soffermo a parlarvi delle realtà veramente interessanti e molto vive della Tanzania e del Sudan in cui non ho mai lavorato.

Vi parlo del Kenya che ora conta 11 opere con una continua richiesta da parte dei vescovi di aprirne di nuove… e diverse opere sono in prospettiva di apertura. Abbiamo ben sette centri professionali con 3500 allievi nel campo profughi di Kakuma, nel nord del Kenya, che conta circa 500.000 rifugiati. I 7 centri sono coordinati da una sola casa salesiana che si prende pure cura dell’unica parrocchia del campo, con numerosi centri di preghiera. Un dispiego di energie e di forze totalmente dedicato ai più poveri, scappati soprattutto dal Sudan e dagli altri paesi africani confinanti. La massa delle persone del campo è costituita da bambini e giovani. Ci sarebbe lavoro per 100 Salesiani.

A Nairobi abbiamo cinque opere che svolgono un’attività grandemente apprezzata dalla gente. Certamente molto significativa è l’opera dei ragazzi di strada, con circa 400 ragazzi di cui 200 interni e 200, ragazzi e ragazze, che vengono a scuola ogni giorno dalla vicina baraccopoli di Kuinda.

Abbiamo motivo di essere soddisfatti? Se amiamo i giovani con il cuore di Don Bosco, allora abbiamo ancora tantissimo da fare: siamo solo agli inizi.

In Kenya c’è una disparità sociale che grida vendetta al cospetto di Dio. Il quotidiano on-line Africa Express poche settimane fa dava la notizia che in Kenya quattro famiglie detengono la ricchezza di 22 milioni di kenyoti: vuol dire che 22 milioni di persone vivono di miseria e sofferenza per mantenere la ricchezza e il lusso di quattro famiglie.

Solo qualche fatto, tra i tantissimi. Con l’aiuto di tanti benefattori italiani ho potuto far operare una mamma cieca che da cinque anni avrebbe dovuto ricevere un intervento al nervo ottico che si era paralizzato in seguito ad un incidente stradale. Non avendo i soldi neppure per una visita medica, non avevano mai fatto nulla. È una mamma di 38 anni, con tre figli e senza marito. Sono arrivato a lei attraverso la figlia minore che viveva sulla strada a Nairobi, entrata in una miseria infinita, per scappare da una miseria insopportabile.

Il costo dell’intervento, che ha poi richiesto un secondo intervento, è stato di 6000 Euro. Una cifra che questa donna non vedrà mai in tutta la sua vita. Adesso lei incomincia a vedere un po’, almeno da un occhio e la figlia che era sulla strada è tornata a casa. La figlia maggiore che faceva la prostituta per mantenere la famiglia e ha un bambino di tre anni, da lei concepito a 14 anni, mi ha promesso che cerca un lavoro. Il figlio è stato accolto tra i nostri ragazzi di strada. Vedere la miseria e l’abbandono della loro baracca, appoggiata ad una infinità di altre baracche, è qualche cosa di realmente straziante.

È evidente che questi sono i giovani a cui dobbiamo indirizzarci ed è un’impresa colossale che solo Don Bosco può portare avanti: noi non possiamo essere altro che il fazzoletto nelle sue mani; ci scoraggeremmo subito di fronte ad una impresa così difficile.

Ho mandato a studiare dalle nostre suore, che lavorano in una baraccopoli di Nairobi, una ragazza madre con due bambini: uno di 11 anni e l’altro di un anno e nove mesi. Il più grande è stato accolto nel centro Don Bosco per i nostri ragazzi di strada, perché sulla strada viveva in realtà ogni giorno. Questa giovane mamma l’avevo fatta operare al cuore quando aveva solo 10 anni e si trovava ormai in fin di vita. È figlia di due poverissimi genitori, separati.In ospedale non facevano nulla perché tanto i genitori erano poveri e non potevano pagare e lei era destinata a morire nel giro di tre settimane. Quando sei povero, qui non vali niente e la tua vita può essere buttata via in qualsiasi momento perché tanto non sei nessuno. Adesso lei, a scuola dalle nostre suore, è contenta di imparare l’arte della cucina per potersi inserire in un lavoro che le permetta di mantenere i suoi due figli. Ho affittato una baracca di lamiera per lei ed il suo bambino. 3 metri per 3. 25 euro di affitto al mese. Un materasso. Un fornellino a gas a una piastra sola, 2 pentolini, un cucchiaio ed un piatto solo perché lei ed il bambino mangiano “assieme”. Quattro giorni fa le avevo dato 40 €. Venti li ha dovuti mandare subito al suo papà che è ammalato. Adesso le rimangono 5 Euro e con questi deve sopravvivere per altri tre giorni. Mi ha detto che il suo bambino le costa “tanto”: 0,80 € il giorno… A lei ed ai suoi bambini dovremo pensare finché non potrà inserirsi nel mondo del lavoro.

Vi potrei raccontare centinaia di storie come queste soprattutto da quando, vivendo a Nairobi, entro frequentemente nella baraccopoli più grande di Nairobi insieme ad un gruppo di giovani. Vediamo una sofferenza inimmaginabile e cerchiamo di risolvere alcuni casi in un mare di abbandono e di emarginazione.

Sento tutti i giorni il bisogno di chiedere a Don Bosco che mi faccia crescere in passione ed in fedeltà alla nostra missione che è per i giovani poveri ed abbandonati.

Chiedo l’aiuto della vostra preghiera per tutti i salesiani che qui lavorano, per tutti i giovani che sono nelle nostre opere, per la massa della nostra gente che vive in miseria e per i pochi ricchi che vivono nell’indifferenza, perché il Signore faccia capire loro che devono smettere di rubare e devono cominciare a restituire.

Grazie di cuore a tutti voi per la vostra pazienza nell’ascoltare questo messaggio.
D. Felice

Giornata del bambino africano. Don Felice Molino: vera urgenza è educare il cuore

In occasione della Giornata mondiale del bambino africano che si festeggia ogni 16 giugno, è stata pubblicata su Vatican News la testimonianza di don Felice Molino, missionario salesiano da 38 anni in Kenya. Di seguito si riporta  l’articolo dedicato e il video dell’intervista a don Molino realizzato per Missioni Don Bosco.

“C’è bisogno di tutto, dall’istruzione al cibo, dalle medicine ai vestiti, ma prima di ogni cosa bisogna educare il cuore, altrimenti muore il mondo”

Cecilia Seppia – Città del Vaticano

Era il 16 Giugno 1976 quando a Soweto, sobborgo di Johannesburg, nacquero violenti scontri tra gli studenti neri e la polizia segregazionista del National Party, allora al governo. Il motivo della protesta studentesca fu l’approvazione di un decreto che imponeva a tutte le scuole in cui erano segregati i nativi africani di utilizzare l’afrikaans, la lingua dei bianchi segregazionisti, come lingua paritetica all’inglese. Ma questo era solo l’ultimo episodio di una lunga lista di divieti e imposizioni. Così gli studenti si organizzarono e scesero in piazza. Nelle prime file del corteo campeggiava il cartello: “Non sparateci, non siamo armati” e invece la polizia in assetto antisommossa, cominciò a lanciare gas lacrimogeni per disperdere la folla. Qualche ragazzino reagì con il lancio di pietre e gli agenti risposero col fuoco uccidendo sul colpo quattro di loro, fra cui il tredicenne Hector Pieterson divenuto poi simbolo della violenza dell’apartheid. Le violenze continuarono fino all’aprile del 1977. Una commissione d’inchiesta anni dopo accertò che morirono 575 persone, ma fu proprio dopo le proteste che il governo autorizzò le scuole ad insegnare nella lingua che volevano. Per onorare i ragazzi e le ragazze massacrate durante quell’anno, dal 1991, il 16 giugno viene celebrato – dapprima dall’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA) e poi dall’intera famiglia delle Nazioni Unite – come un giorno per richiamare l’attenzione sulle condizioni di vita dei bambini e dei ragazzi nel Continente.

I dati oggi
Stando ai dati Unicef oggi sono almeno 45,5 milioni i bambini nell’Africa Subsahariana che non frequentano la scuola e molti di questi muoiono prima di aver compiuto i cinque anni di età a causa di malattie spesso facilmente curabili o per denutrizione. Attraverso investimenti strategici per la sopravvivenza e il benessere dei piccoli, anche Paesi con risorse limitate – come il Malawi – sono riusciti a ridurre notevolmente i tassi di mortalità infantile e negli ultimi anni si registra anche un miglioramento della frequenza scolastica, per esempio in Benin, Etiopia, Mozambico e Tanzania ma molto resta ancora da fare.

Educare il cuore della gente
L’appello ai governi e alle istituzioni resta doveroso, ma secondo don Felice Molino, missionario salesiano che da 38 anni vive in Kenya, per prima cosa c’è bisogno di educare il cuore della gente perché cresca la sensibilità e il desiderio di aiutare l’altro, soprattutto se è un minore, vittima innocente, a cui è stata rubata l’infanzia, la dignità, ogni tipo di diritto, non solo quello all’istruzione. Don Felice, che collabora con gli altri missionari al Bosco Boys di Nairobi, dove vengono accolti e allevati i bimbi di strada, si porta dietro un bagaglio di storie incredibili che ci racconta con il nodo in gola. Come quella di Ana che oggi è una donna adulta, mamma felice di un bimbo bellissimo, ma ha vissuto l’inferno.

Il fenomeno dei bambini di strada
“Quello dei ragazzi di strada è un fenomeno che tocca un po’ tutto il mondo, ma soprattutto le grandi città dell’Africa”, afferma don Felice. “A Pasqua, prosegue abbiamo distribuito cibo nel Parco Nazionale di Nairobi a 1500 bambini, con questa suora che impavida sfidava le autorità che li voleva cacciare perché sono considerati una vergogna. Molti fuggono dalle proprie famiglie. La cosa che mi ha impressionato è stato vedere i loro volti sfregiati, feriti dalle botte che prendono, sia da chi li caccia via di casa, sia dai capi che li sfruttano. E poi la sporcizia in cui vivono, il sudiciume dei vestiti… Sono situazioni di degrado e grande abbandono con cui l’infanzia africana fa i conti tutti giorni”.

Carceri, malnutrizione, sanità
“L’altro problema grave problema – afferma il missionario salesiano – riguarda le carceri minorili. A Natale sono andato a celebrare la Messa in uno di questi carceri e l’avvocato che difende questi ragazzini mi ha detto che nessuno di loro proviene da una famiglia ‘normale’. Tutti quanti, guarda caso, provengono dalle baraccopoli di Nairobi. Allora una persona si chiede: ‘Come mai? È perché il Signore ha creato tutti cattivi quelli che andranno a finire nelle baraccopoli o è piuttosto forse perché ‘solo’ quelli sono coloro che posso essere pescati dalla polizia? E invece i figli delle famiglie bene non andranno mai a finire in carcere?. Quindi c’è una diseguaglianza grandissima. Poi si passa a quella che è l’alimentazione dei bambini. Lì il problema è molto più grave. Se si pensa che l’alimentazione base nelle scuole è fatta di granturco e fagioli, polenta … In moltissime scuole sono internati. È chiaro che non è sufficiente per dei bambini e dei ragazzi che devono affrontare giornate di studio. Per non parlare poi del problema della sanità. Ho frequentato ospedali dove il bambino è a letto insieme a due adulti. Una volta sono andato e c’era un bambino di strada che moriva praticamente dopo l’intervento per tumore al cervello. Ho detto: ‘Come mai questo bambino è lì immerso nella pipì e nessuno fa niente? Mi hanno risposto: Non c’è bisogno di far niente, tanto lui sta morendo e non si accorge nemmeno di quello che gli succede”.