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Il salesiano coadiutore Artemide Zatti è santo!

Artemide Zatti è stato dichiarato santo durante la Celebrazione Eucaristica sul Sagrato di piazza San Pietro di domenica 9 ottobre 2022. Di seguito il resoconto della giornata e le testimonianze di alcuni salesiani coadiutori giunti in Vaticano per il grande evento, apparse sul sito ANS.

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 “Il fratello salesiano Artemide Zatti è stato un esempio vivente di gratitudine”.

Con queste parole, pronunciate nel corso dell’omelia della Messa del 9 ottobre 2022, Papa Francesco indica a tutti i fedeli il modello del “santo infermiere” e “parente di tutti i poveri”, nel giorno in cui ne proclama la santità davanti alla Chiesa universale. Sono da poco passate le 10:00 (UTC+1) quando ha inizio sul Sagrato di piazza San Pietro a Roma la Celebrazione Eucaristica con il Rito di Canonizzazione del salesiano coadiutore Artemide Zatti e di mons. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo e Fondatore della Congregazione dei Missionari di San Carlo e della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo.

Solenne, come merita l’occasione, tutta la celebrazione, a cominciare proprio dal rito di canonizzazione, posto all’inizio della liturgia. Dopo il canto d’ingresso, la Schola della Basilica di San Pietro intona l’inno Veni, Creator Spiritus e il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, accompagnato dai Postulatori, Padre Graziano Battistella, CS, e don Pierluigi Cameroni, SDB, si reca dal Santo Padre a presentare la Petitiola domanda con cui si chiede di procedere alla Canonizzazione dei due Beati.

Le figure di mons. Scalabrini e del sig. Zatti vengono così brevemente ricordate attraverso la lettura, da parte del Card. Semeraro, delle rispettive biografie.

Successivamente l’intera piazza gremita di fedeli invoca, attraverso le litanie dei Santi, la partecipazione di tutta la Chiesa celeste ad accompagnare l’iscrizione nell’Albo dei Santi dei due Beati.

Sono le 10:30 esatte quando il Santo Padre Francesco pronuncia in latino la solenne formula di canonizzazione con la quale dichiara e definisce santi Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti.

Un grande applauso dell’assemblea dei fedeli accompagna la proclamazione, seguita poco dopo dall’incensazione e dalla deposizione ai piedi della statua della Madonna delle reliquie insigni dei due neo-santi, e dal ringraziamento del cardinale Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, che al tempo stesso chiede e ottiene dal Pontefice l’assenso alla redazione della Lettera Apostolica circa l’avvenuta canonizzazione.

Riprende poi la liturgia eucaristica domenicale, concelebrata da diversi Cardinali, Arcivescovi, Vescovi e sacerdoti, molti dei quali Figli di Don Bosco, guidati dal Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime. Al momento dell’omelia il Papa approfondisce le Letture della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario. Due gli aspetti sottolineati in particolare dal Pontefice: il camminare insieme e la gratitudine.

Camminare insieme è la caratteristica dei dieci lebbrosi guariti da Gesù.

“È un’immagine bella anche per noi – afferma il Pontefice –. Quando siamo onesti con noi stessi, ci ricordiamo di essere tutti ammalati nel cuore, di essere tutti peccatori, tutti bisognosi della misericordia del Padre. E allora smettiamo di dividerci in base ai meriti, ai ruoli che ricopriamo o a qualche altro aspetto esteriore della vita. Fratelli e sorelle, verifichiamo se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi dove lavoriamo e che ogni giorno frequentiamo, siamo capaci di camminare insieme agli altri, di ascoltare, di superare la tentazione di barricarci nella nostra autoreferenzialità e di pensare solo ai nostri bisogni”

è l’invito che ne fa scaturire il Papa.

È questa anche l’occasione per denunciare ancora una volta l’esclusione dei migranti, che il Papa definisce a chiare lettere “scandalosa, criminale, schifosa e peccaminosa”.

“Oggi pensiamo ai nostri migranti, quelli che muoiono – soggiunge ancora il Papa, lasciando la domanda aperta a tutti – E quelli che riescono ad entrare, li riceviamo come fratelli o li sfruttiamo?”.

Successivamente il Santo Padre evidenzia il valore della gratitudine, sul modello del samaritano, l’unico dei dieci lebbrosi guariti che torna a ringraziare Gesù:

“Questa è una grande lezione anche per noi, che beneficiamo ogni giorno dei doni di Dio, ma spesso ce ne andiamo per la nostra strada dimenticandoci di coltivare una relazione viva con Lui. (…). E, così, si finisce per pensare che tutto quanto riceviamo ogni giorno sia ovvio e dovuto”.

Al contrario, osserva il Pontefice “la gratitudine, il saper dire ‘grazie’, ci porta invece ad affermare la presenza di Dio-amore. E anche a riconoscere l’importanza degli altri, vincendo l’insoddisfazione e l’indifferenza che ci abbruttiscono il cuore”.

Il sapere camminare insieme agli altri e lo spirito di gratitudine, afferma il Papa, sono proprio ciò che ha contrassegnato la vita dei due neo-santi. Di Mons. Scalabrini che fondò una congregazione per la cura degli emigrati, il Papa offre una citazione per affermare che

“nel comune camminare di coloro che emigrano non bisogna vedere solo problemi, ma anche un disegno della Provvidenza. ‘Proprio a causa delle migrazioni forzate dalle persecuzioni – egli disse – la Chiesa superò i confini di Gerusalemme e di Israele e divenne cattolica. grazie alle migrazioni di oggi la Chiesa sarà strumento di pace e di comunione tra i popoli’ (G.B. Scalabrini, L’emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899)”.

Il Pontefice riflette allora sulla migrazione forzata di cui è vittima la popolazione ucraina:

“Non dimentichiamo oggi la martoriata Ucraina”.

Mentre sul salesiano coadiutore Artemide Zatti, ribadisce, poi:

“Da parte sua, il fratello salesiano Artemide Zatti, con la sua bicicletta, è stato un esempio vivente di gratitudine: guarito dalla tubercolosi, dedicò tutta la vita a gratificare gli altri, a curare gli infermi con amore e tenerezza. Si racconta di averlo visto caricarsi sulle spalle il corpo morto di uno dei suoi ammalati. Pieno di gratitudine per quanto aveva ricevuto, volle dire il suo “grazie” facendosi carico delle ferite degli altri”.

L’omelia del Santo Padre si conclude, pertanto, con un’esortazione finale:

Preghiamo perché questi nostri santi fratelli ci aiutino a camminare insieme, senza muri di divisione; e a coltivare questa nobiltà d’animo tanto gradita a Dio che è la gratitudine”.

L’attualità di Sant’Artemide Zatti: voci dei Salesiani Coadiutori da piazza San Pietro

Tra i circa 50mila fedeli accorsi in piazza San Pietro per la canonizzazione dei Beati Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti, diverse centinaia erano i salesiani coadiutori giunti da tutto il mondo. Ne abbiamo incontrati alcuni che ci hanno testimoniato con le loro parole tutto il loro entusiasmo e la loro soddisfazione per il riconoscimento della santità incarnata da Zatti: una santità del quotidiano e della gioia; una santità che testimonia la bellezza della Vita Consacrata e della consacrazione salesiana, nello specifico; la santità di chi cerca e compie la volontà di Dio.

Dalla terra di Don Bosco, nella Circoscrizione Speciale Piemonte e Valle d’Aosta, ci sono ad esempio tre coadiutori: Domenico Francesco Allasia, Fabrizio Spina e José Eusebio Trigona, quest’ultimo originario dell’Argentina, la terra in cui Zatti visse tutta la sua santa vita salesiana.

Comincia il sig. Allasia, il maggiore dei tre:

“Sono molto contento di quest’occasione, perché è un modo per far conoscere ancora di più la vocazione del salesiano coadiutore, e nel suo specifico caso, del coadiutore che diventa santo facendo le cose ordinarie, con fede, fiducia e sacrificio; ma allo stesso tempo anche con gioia con felicità, con soddisfazione del proprio lavoro, senza cercare di più di quello che gli è stato richiesto di fare”.

Il sig. Spina, da parte sua manifesta:

“Il senso di gratitudine per essere qui in questo posto è enorme; non ci rendiamo conto di quante persone hanno lavorato, hanno fatto di tutto per far sì che tutto il mondo salesiano sia qui oggi. Davvero è per noi veramente una grande, una grandissima grazia. Da vivere, soprattutto, senza attaccarsi al ‘ruolo’, ma comprendendo, grazie alla figura di Artemide Zatti, che essere salesiano è la cosa importante: non avere un ruolo, avere un potere, avere dei titoli, ma essere salesiano –non fare il salesiano, esserlo! Questo è veramente un dono che ricevo ad essere qua oggi”.

Conclude infine il sig. Trigona:

“Oltre a tutto quello che abbiamo sentito in questi giorni, sia da parte del Papa, sia dal Rettor Maggiore, credo che la cosa importante che Zatti ci insegna è quella di fare la volontà di Dio, cercarla e farla, anche quando alle volte ci sono delle avversità. E un altro grande messaggio anche riguarda la ricchezza dell’essere religioso, al di là dei titoli. Mentre, nella Chiesa oggi in genere, come dice il Papa, c’è una forte mentalità clericale, Artemide Zatti ci fa vedere il valore e la bellezza della vita religiosa in sé”.

“Tu l’hai fatto un uomo buono…grazie Signore!!!” Testimonianza di Hugo Vera, Salesiano coadiutore argentino

Nella preghiera con l’intercessione di Artemide Zatti che per tanti anni abbiamo recitato con il grande desiderio di vederlo tra i nostri amici del cielo, i santi, c’è un’espressione che mi ha sempre attirato l’attenzione: “Tu [Signore] l’hai fatto un UOMO BUONO”. Può sembrare un’ovvietà o una semplificazione dire di un santo che è stato un “uomo buono”. In questo caso credo sia il miglior riconoscimento che possiamo offrirgli. Di fatto, anche il Signore Gesù, nel vangelo mette l’attenzione su questo particolare: “Perchè mi chiami buono – dice al giovane ricco – soltanto Dio è buono”. L’uomo buono è quello che nella sua limpidezza lascia vedere “direttamente” Dio. E Zatti era proprio così. La sua chiarezza evangelica e salesiana “risplendeva di normalità”. Sono “i santi della porta accanto” come ci ricorda Papa Francesco.

Ma se guardiamo più attentamente, possiamo vedere i mille colori che aveva la bontà di Artemide. In Lui l’uomo buono era: senso di fede, fiducia, dedizione estrema, vicinanza, attenzione concreta, buon umore, tenacità, genialità, viva fratellanza, testimonianza provocante, mitezza anche nelle dure prove… E lo chiamiamo “uomo buono” anche perché ha saputo scoprire il volto del Signore direttamente nelle sofferenze e necessità dei malati, dei poveri, degli scartati del suo tempo. Con viso gioioso è riuscito a intravedere Dio nei poveri infermi, giovani e adulti, facendo sì che la sua vita fosse una chiara realizzazione del riconoscimento di Gesù: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Tra noi, in Argentina, il meglio che si può dire di una persona è proprio quello: è una donna, un uomo, un giovane “buono”. La gente semplice vuol riconoscere con questa espressione coloro che sono veramente coerenti, senza doppiezza, “de una sola pieza”, si dice. Puoi stare sicuro di poter contare sempre e ovunque su di loro. I cittadini di Viedma avevano percepito così il nostro santo confratello. Vedendolo in sella alla leggendaria bicicletta qualcuno dice: “Lì va un angelo”, ma un altro lo corregge: “No, Zatti è un vero uomo, in carne ed ossa”. Di fatto si affermò che Artemide non era né più né meno che “il parente di tutti i poveri”. Ci ricorda l’“uomo giusto” o “fedele” della Bibbia.

Ho avuto l’opportunità di conoscere parecchi confratelli salesiani che avevano vissuto con il nostro Artemide. Tra essi c’era il sentire comune che Zatti era proprio un santo salesiano… perchè molto normale!!! La sua “bontà”, mi diceva una volta uno, si percepiva nella sua chiara, grave e potente voce con cui pregava o cantava in Chiesa, ma anche scherzava nel refettorio o chiacchierava fraternamente in cortile. Un altro ricordava: “era capace di condividere una profonda sensibilità di fede con la naturale gioiosità di una barzelletta”. Tutti concordavano che a Lui conveniva un appellativo a noi famigliare che unisce bontà e semplicità in grande misura: “Don Zatti era bonachón”.

Vorrei condividere con voi due fatti di questa bontà di Artemide legate alla mia vita. Il primo risale ai tempi delle mie decisioni vocazionali, quando nel discernimento cominciai a capire che il Signore (e le circostanze) mi chiamavano como salesiano coadiutore. Il mio accompagnatore spirituale mi disse di concludere quella tappa facendo partecipi i miei genitori dei miei desideri vocazionali. Qualche tempo prima io avevo inviato a loro, per posta (oggi ci suona come una cosa dell’Antico testamento), un paio di paginette con un cenno biografico di Artemide Zatti. Andai a casa senza sapere come condividere le mie domande sulla vocazione. Direttamente dissi a mamma e papà: “Beh, noi salesiani abbiamo due modi di dedicarci ai giovani, io vorrei sceglierne uno, come salesiano coadiutore che…” E subito, quasi sopra le mie parole, mio padre aggiunse: “Come Don Zatti, l’infermiere della Patagonia!!”. Non c’era più nulla da dire. Artemide era entrato nel suo cuore appianandomi la strada prima delle mie spiegazioni. Zatti li aveva già colpiti e affascinati. Era una grande gioia per loro che il loro figlio pensasse alla vocazione salesiana con lo stile di quell’ “uomo buono”.

Il secondo episodio è accaduto parecchi anni dopo. Mio padre era molto ammalato di Alzheimer, ricoverato in ospedale. Ci permettevano di fargli compagnia tutto il tempo. Una notte è toccato a me passarla con lui ed è stato molto duro. Sembrava che lottasse per respirare ed era molto in difficoltà. Non sapendo cosa fare per assisterlo mi avvicinai al suo fianco e cominciai a parlargli all’orecchio: “Dai papà, lascia stare, non sforzarti così. Hai fatto molto nella vita (bene o male) ed è già sufficiente. Guarda che Don Zatti è qui, prendi la sua mano e lasciati condurre…”. A dir la verità non è che avessi pensato di dire quelle parole, mi parlò semplicemente il cuore. Ricordo che a poco a poco la sua faticosa respirazione si è normalizzata e credo restasse addormentato. In un paio di ore mio padre consegnava l’ultimo sospiro. Sono sicuro che Artemide lo ha preso per mano e con il suo ampio sorriso sotto i baffi ha fatto sentire mio padre “in famiglia”. Quell’ “uomo buono” ne faceva un’altra volta “una delle sue”.

“Tu l’hai fatto un UOMO BUONO…GRAZIE SIGNORE”

Testimonianza di Hugo Vera, Salesiano coadiutore argentino

Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita: Costituito l’Organismo consultivo internazionale dei giovani – l’MGS c’è!

Su indicazione del Documento Finale del Sinodo 2018, il quale chiedeva che fosse rafforzata “l’attività dell’Ufficio Giovani”, il “Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita” ha costituito nella giornata di ieri, 25 novembre, l’Organismo Consultivo Internazionale dei Giovani, nel quale anche il Movimento Giovanile Salesiano è presente. Si riporta di seguito l’articolo oggi pubblicato dall’Agenzia d’Informazione Salesiana ANS.

Vaticano – Organismo Consultivo Internazionale dei Giovani: l’MGS c’è!

(ANS – Città del Vaticano) – Nella Solennità di Cristo Re, domenica 25 novembre, il Dicastero vaticano per i Laici, la Famiglia e la Vita ha annunciato con gioia l’istituzione dell’“Organismo consultivo internazionale dei giovani”, composto da 20 giovani provenienti da diverse regioni del mondo e da alcuni movimenti, associazioni e comunità internazionali. Anche il Movimento Giovanile Salesiano (MGS) è rappresentato, grazie a Carina Baumgartner, 28enne austriaca, che ha già partecipato a numerosi incontri internazionali – tra cui l’XI Forum Internazionale dei Giovani dello scorso giugno – e che ha una vasta esperienza in materia di gioventù in tutto il mondo.

Il Documento finale del Sinodo 2018 chiedeva che fosse rafforzata “l’attività dell’Ufficio Giovani del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita anche attraverso la costituzione di un organismo di rappresentanza dei giovani a livello internazionale”. L’istituzione di questo nuovo organismo, dunque, è figlia diretta di quel Sinodo, oltre che della volontà di Papa Francesco, che sottolinea spesso come il contributo attivo dei giovani sia essenziale per la Chiesa.

L’organismo lavorerà a stretto contatto con il Dicastero sulle questioni giovanili e i primi 20 ragazzi e ragazze selezionati, nominati per un triennio, sono giovani che sono stati coinvolti in diverse fasi del processo sinodale; ad aprile 2020 avranno il loro primo incontro.

“Non vedo l’ora di ascoltare e discutere le diverse prospettive da tutto il mondo. In particolare, voglio contribuire con la mia esperienza nell’MGS. Mettiamo i giovani al centro, diamo loro la responsabilità, ci fidiamo di loro e prendiamo sul serio le loro preoccupazioni. Sono lieta che Papa Francesco dia questo posto ai giovani ora nella Chiesa!” ha commentato Carina.

La ventottenne viennese ha rappresentato l’Austria nel Movimento Giovanile Salesiano in Europa e Medio Oriente. Ha anche contatti in diversi Paesi africani, asiatici e americani. Una sincera preoccupazione è per lei l’impegno dei giovani nell’iniziativa Generazione Laudato Si’. Quando venne fondata, durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Panama, lei era presente. E all’XI Forum Internazionale della Gioventù a Roma ha avuto anche l’opportunità di incontrare personalmente Papa Francesco.

Nata a Vienna nel 1991, Carina è maestra d’asilo e di doposcuola. Ha studiato Lavoro Sociale e attualmente sta completando il suo Master come insegnante di Teatro. Da tre anni lavora come addetta pedagogica nell’MGS dei Salesiani di Don Bosco; ha svolto numerose iniziative di volontariato, sempre rivolte alla cura di bambini e adolescenti, e con le Figlie di Maria Ausiliatrice e l’ONG VIDES è stata volontaria in Georgia ed Etiopia. Ha messo in scena spettacoli per bambini, dirige un coro di bambini ed è stato responsabile dei chierichetti nella sua parrocchia d’origine.

“Sono molto felice di essere una persona credente e religiosa e di sapere che c’è Dio al mio fianco. La mia fede dà significato alla mia vita. La Santa Messa, il festeggiare, cantare e pregare insieme sono per me come delle stazioni di rifornimento. Con un serbatoio pieno provo nella vita di tutti i giorni a vivere, come Don Bosco, le parole ‘Sii felice, fa’ del bene e lascia fischiare i passeri (Laetare et bene facere… Lasciar cantar le passere!)”.

Mons. Van Looy, SDB: “Accompagnare significa essere presenti, ascoltare con porte e cuore aperti”

16 ottobre 2018, al Sinodo dei Vescovi in corso in Vaticano partecipa anche mons. Luc Van Looy, SDB, vescovo di Gent/Gand (Belgio). Per 20 anni missionario in Corea del Sud e per altri 20 membro del Consiglio Generale della Congregazione Salesiana, al Sinodo ha presentato un intervento sul tema, prettamente salesiano, dell’arte di accompagnare i giovani.

 

Buon pomeriggio, caro Santo Padre, fratelli e sorelle, ragazzi e ragazze.

Vorrei parlare dell’arte di accompagnare. Si tratta di un’attività quotidiana. Grandi e santi educatori ci dicono che la regola fondamentale per accompagnare i giovani è esser presenti nella loro vita in ogni momento. Piuttosto che ritenerlo una forma di controllo, è la via dell’amicizia e della fiducia, per condividere la vita dei bambini e dei giovani. Può sembrare un controllo sul loro comportamento; invece è la via dell’amicizia e della fiducia, per farli sentire liberi e a casa con noi.

In quale altro modo potremmo scoprire chi sono e di cosa hanno bisogno? In quale altro modo potremmo sapere come si relazionano agli adulti, ai loro coetanei e alle istituzioni? Come potremmo evitare che siano attirati in quegli ambienti che gli farebbero più danno che beneficio? Come potremmo insegnare loro a stare lontani dal male? Come potremmo scoprire ciò che lo Spirito di Dio sta dicendo loro? Come potrebbero imparare a pregare da noi?

 

Penso a Gesù, che passava tutto il tempo con i suoi discepoli. Egli sapeva come si relazionavano fra di loro. Quando avevano bisogno di aiuto, li prendeva un momento in disparte, come fece con Pietro. Per lui i discepoli e il popolo erano la sua terra santa.

Per avere una comprensione profonda su una persona sarà importante coinvolgere la comunità. Nel guidare i giovani non siamo soli. Tutti in una comunità, sia una scuola, un istituto o parrocchia, hanno una loro idea su di un giovane. Pertanto, se ad esempio abbiamo bisogno di una decisione sulla vocazione, non è importante solo l’opinione dei professori del seminario o del superiore; dovrebbero essere ascoltati anche il parroco, i catechisti, i cuochi, gli uomini e le donne della comunità del candidato.

In Belgio ammiro quegli educatori delle scuole che ogni mattina accolgono gli studenti al cancello degli istituti. Li vedo nel cortile che parlano con gli studenti e sono di nuovo al cancello quando i ragazzi tornano a casa. Semplicemente, sono presenti in ogni momento. Conoscono le loro pecore e le pecore conoscono loro, proprio come faceva Gesù. Vedo sacerdoti che continuamente escono fuori, verso la gente; la domenica sono all’ingresso della chiesa prima e dopo l’Eucaristia, ascoltano i fedeli e condividono le loro gioie e i loro dolori. In quel momento il loro posto non è in sagrestia.

Accompagnare significa essere presenti, ascoltare con porte e cuore aperti, con un interesse profondo e concreto, dando sempre coraggio e speranza. Un educatore che accompagna i giovani non è solo un professionista in una stanza di consulenza, o uno psicologo che esamina tipi di comportamento; è un amico nella vita di una persona, pronto a camminare insieme…

Alla fine Gesù divenne così intimo con i suoi discepoli che lavò loro i piedi, condivise con loro il suo corpo e il suo sangue e li invitò a pregare con lui quando stava soffrendo.

 

 

 

Papa Francesco – Ogni cinque interventi ci siano tre minuti di silenzio, modifica ai lavori dell’Assemblea

“La parola ascolto è davvero centrale in questo Sinodo, il Papa ha parlato metaforicamente della situazione di chi è in debito di ossigeno, ricordando che la Chiesa è oggi ‘in debito di ascolto’.

Cosi Don Rossano Salasalesiano, Segretario Speciale del Sinodo, docente di Pastorale Giovanile presso la Pontificia Università Salesiana –  commenta le parole di Papa Francesco durante l’intervista a cura di Fabio Colagrande – Città del Vaticano  ai microfoni di Radio Vaticana Italia. Qui di seguito si riporta l’articolo:

“In questa partenza sinodale, nell’aula si sentiva il clima positivo, costruttivo e il clima di discernimento spirituale, ispirato dai primi discorsi pronunciati e soprattutto dall’omelia del Santo Padre e dal suo discorso iniziale che ci hanno proprio scaldato il cuore”. È quanto ha affermato ai microfoni di Radio Vaticana Italia, don Rossano Sala, salesiano, Segretario Speciale del Sinodo, docente di Pastorale Giovanile presso la Pontificia Università Salesiana.

Chiesa in debito di ascolto, anche verso Dio

“Dalle parole inaugurali di Papa Francesco è emerso che la parola ascolto è davvero centrale in questo Sinodo”, commenta don Sala. “Il Papa ha parlato metaforicamente della situazione di chi è in debito di ossigeno, ricordando che la Chiesa è oggi ‘in debito di ascolto’. È un’immagine molto interessante che è frutto dei due anni di lavoro e, appunto, ascolto della fase preparatoria del Sinodo”. “Ci siamo accorti – prosegue il Segretario speciale – che la Chiesa fa fatica ad ascoltare, parla un po’ troppo e ascolta un po’ troppo poco. Questo vuol dire che è necessaria davvero una conversione spirituale, prima di tutto. E direi anche che la radice più profonda di questa mancanza di ascolto nei confronti dei giovani è probabilmente anche una mancanza di ascolto verso Dio. Noi parliamo molto di Dio, ma forse parliamo poco con Dio. E questa è una mancanza di credibilità. Quando parliamo di Dio, senza aver prima parlato con Dio, non siamo molto credibili”.

I giovani oggi chiedono riconciliazione e ‘accompagnamento’

“Un rischio sottolineato dal Papa, all’inizio del Sinodo è quello di parlare dei giovani a partire da categorie e schemi mentali superati”, aggiunge don Rosano Sala. “In genere quando pensiamo ai giovani, il cliché che abbiamo in mente è quello dei giovani del ’68: i giovani che vogliono sfondare, i giovani che vogliono criticare”. “Invece – prosegue il Segretario speciale – la nostra esperienza fatta durante la riunione pre-sinodale di marzo è quella di un gruppo di giovani che – in punta dei piedi – ha voluto con grande rispetto e sensibilità mettere tanti punti al centro dell’agenda ecclesiale, punti tutti recepiti nell’Instrumentum laboris. Ciò significa che i giovani vanno ascoltati per quello che sono oggi. Ogni generazione giovanile ha il suo apporto da dare”. “Certamente – spiega don Sala – la generazione attuale è piuttosto fragile: è una generazione in ricerca, ed è una generazione che cerca delle alleanze intergenerazionali con gli adulti. Potrei dire in sintesi che è una generazione in cerca di riconciliazione, perché è molto frammentata, molto bombardata da mille sollecitazioni. Quindi, questa fragilità si vede proprio nella richiesta di aiuto. Questo è il grande tema dell’accompagnamento che è emerso molto al pre-sinodo: i giovani chiedono accompagnamento”.

Coraggiosa e profetica la scelta del silenzio durante i lavori

“Nel suo saluto iniziale Papa Francesco ha introdotto una modifica procedurale stabilendo che, durante i lavori dell’Assemblea, ogni cinque interventi ci siano tre minuti di silenzio e la considero una scelta molto coraggiosa e profetica”, conclude don Rossano Sala. “È la prima volta che si attua, vedremo come i padri sinodali la vivranno, ma certamente non è un tempo per tirare il fiato ma per andare in profondità”. “È la chiarificazione che il metodo di lavoro del discernimento è una metodologia ‘spirituale’. Non è semplicemente una tecnica, ma è un evento spirituale”, aggiunge il Segretario speciale del Sinodo dei giovani. “Il silenzio è assolutamente necessario per far risuonare nel nostro cuore le parole che abbia ascoltato. E una delle cose più interessanti che hanno espresso i giovani consultati nei due anni della fase pre-sinodale è la grande ‘sete’ di silenzio, di contemplazione, per ritrovare degli spazi che permettano di uscire da un bombardamento mediatico che non permette più di pensare e andare in profondità”. “Il Papa ha voluto inserirlo per dirci che il silenzio è necessario. Le pause sono necessarie nella musica per gustare il suono. È una necessità una radicale. Il Sinodo è un processo di discernimento spirituale in cui il silenzio, la contemplazione diventano la condizione di possibilità per l’ascolto e la presa in carico di quello che si dirà. Altrimenti le parole passano, non entrano nel nostro cuore”.