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Buonanotte Missionaria Ottobre 2023 – Piero Ramello, salesiano coadiutore missionario

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

In questo mese di ottobre condivide con noi la sua esperienza missionaria Piero Ramello, salesiano coadiutore attualmente missionario in Pakistan.

 

Carissimi confratelli e giovani in don Bosco,

mi chiamo Piero Ramello e sono un salesiano coadiutore originario dell’ispettoria ICP e attualmente missionario in Pakistan.  Nella vigna del Signore, sono un operaio dell’ultima ora. Non avevo mai pensato alla vita missionaria fino al 2016 quando, alla tenera età di cinquantadue anni, sono rimasto profondamente toccato dall’appello missionario che ogni anno il Rettor Maggiore diffonde. Dopo due anni di discernimento, e nonostante alcune paure e le dissuasioni di alcuni confratelli dovute all’età e alla mia difficoltà nell’apprendere nuove lingue, ho presentato la domanda al Rettor Maggiore. La mia domanda è stata accettata, e mi è stato assegnato il Pakistan come destinazione. Ho seguito un corso a Roma per i missionari, ho atteso un po’ per ottenere il visto, e tre anni fa sono arrivato a Lahore.

Qui siamo due confratelli: il direttore, Padre Noble (il primo Salesiano pakistano) ed io. Abbiamo una scuola con classi dal 1° al 10° anno secondo il sistema inglese, un Centro Tecnico con corsi per meccanici, saldatori, idraulici, elettricisti, falegnami, tecnici informatici, barbieri, estetiste e sarte. Nel Centro Tecnico offriamo anche corsi triennali per il Diploma in Associate Engineering. Tra qualche mese, finalmente, aprirà anche la scuola “Zatti” per gli infermieri. Al Convitto alloggiano 150 ragazzi, e complessivamente ogni giorno circa un migliaio di giovani varcano il nostro cancello.

Del Pakistan ammiro soprattutto tre cose: la diffusa religiosità, la popolazione estremamente giovane e la sua capacità di offrire un’accoglienza semplice e generosa. Sarà, forse, che l’Asia meridionale ha una lunga tradizione di interiorità e di vita spirituale, ma qui ogni cosa sembra rimandare a Dio. Anche i giovani con cui vivo pregano spesso e volentieri, e quando pregano, sono molto concentrati. Questo mi fa un gran bene. Riguardo ai giovani, è da notare che sono davvero numerosi. Metà della popolazione del Pakistan ha meno di 20 anni, e per strada si vedono bambini, ragazzi e giovani ovunque. Tutti sono molto gentili e accoglienti.

La vita missionaria è un allenamento continuo alla pazienza e all’umiltà. Pazienza, anzitutto per via della barriera linguistica. Pochi parlano inglese. I ragazzi tra di loro parlano in Punjabi, e comunque l’Urdu, lingua ufficiale, è oggettivamente non facile per via dell’alfabeto arabo e del fatto che nella scrittura vengono sistematicamente omesse le vocali brevi. Le vocali lunghe, al contrario, sono regolarmente indicate, ma possono avere suoni diversi. Dopo tre anni il mio livello di Urdu è appena sufficiente per scambiare qualche parola con i ragazzi e per farli sorridere con i miei errori. Inoltre la pazienza è necessaria per via del fatto che nella cultura pakistana l’organizzazione del lavoro e il rispetto delle scadenze sono concetti molto inconsistenti. L’esercizio dell’umiltà è inevitabile sempre a causa della lingua, per via del fatto di aver continuamente bisogno di qualcuno che traduca, e anche perché talvolta vorrei fare le cose a modo mio; invece devo adattarmi alla cultura.

Le inevitabili difficoltà sono comunque ampiamente compensate dallo stare in mezzo ai giovani, in particolare quelli del Convitto. La loro semplicità, la simpatia e gli esempi che ricevo mi portano a ringraziare Dio per il dono della vocazione missionaria salesiana e mi spingono a fare meglio.

Abbiamo dei ragazzi d’oro. Tra gli exallievi, poi, vi è Akash Bashir, un giovane che otto anni fa, mentre era in servizio d’ordine presso la parrocchia del nostro quartiere, non ha esitato a sacrificare la propria vita per impedire ad un attentatore di entrare in chiesa per compiere una strage.

Ricordo con tanto piacere la ICP, mia Ispettoria madre. Quando ogni giorno prego per le vocazioni, prego anche per quelle della ICP. Rimaniamo uniti nella preghiera.

Piero Ramello

Agnelli: “Buona Notte”missonaria di Piero Ramello

L‘istituto salesiano Agnelli di Torino riporta una testimonianza di Piero Ramello in cui viene descritta la situazione in Pakistan partendo dai lati positivi come l’accoglienza semplice e generosa fino a giungere infine ai lati più negativi come il tasso basso di alfabetizzazione e i problemi politici e terroristici.

Di seguito l’articolo.

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I Salesiani in Pakistan sono arrivati poco più di vent’anni faIl pioniere è stato don Pietro Zago. Attualmente abbiamo due presenze.

A Quetta vi sono due confratelli, una scuola con circa cinquecento allievi e convitto.

A Lahore siamo tre confratelli. Abbiamo scuola, centro di formazione professionale, convitto e aspirantato per un totale di oltre quattrocento ragazzi.

Del Pakistan ammiro soprattutto tre cose: la religiosità diffusa, la popolazione estremamente giovane e la sua capacità di offrire un’accoglienza semplice e generosa.

Sarà, forse, che l’Asia meridionale ha una lunga tradizione di interiorità e di vita spirituale, il fatto è che qui ogni cosa porta a riferirsi a Dio. Anche i giovani con cui vivo pregano spesso e volentieri; quando pregano, sono molto concentrati. Ciò mi fa un gran bene. Riguardo ai giovani, poi, c’è da dire che sono veramente numerosi. Più della metà degli abitanti del Pakistan sono sotto i 19 anni. Per strada si vedono bambini, ragazzi e giovani dappertutto. Tutti sono molto gentili e accoglienti.

Il Pakistan non è un paese tranquillo. Ci sono alcuni nodi problematici, come l’instabilità politica, il terrorismo, la povertà, le tensioni interne e un tasso di alfabetizzazione del 49,9%. Rimane irrisolta la questione Kashmir: India e Pakistan si odiano da quando sono nati. Un altro nodo è la tensione settaria tra sciiti e sunniti. Inoltre, il vicino Afghanistan crea problemi di profughi e infiltrazioni terroristiche. In Pakistan la religione islamica è praticata dal 96,5% della popolazione. I cristiani sono l’1,5%, per metà cattolici e metà protestanti.

Quanto a fatiche e a difficoltà, per me la maggiore è la barriera linguistica. Il mio livello di Urdu è ancora a livello pre-infantile. In ogni caso, i ragazzi tra di loro parlano in punjabi. A scuola i ragazzi studiano urdu e inglese dalle elementari. Pochissimi, però, sono in grado di sostenere una conversazione anche semplice in inglese, e non parlo solo dei ragazzi delle classi inferiori. Come insegnante di Fisica, sinceramente non ho grandi soddisfazioni, a parte il calore del rapporto umano con i ragazzi. In classe ho l’insegnante di sostegno (non per i ragazzi, ma per me!) che traduce in urdu. Trovo che la scuola pakistana, per come la conosco, dia troppa importanza all’aspetto mnemonico (basta sfogliare i libri di testo) trascurando le competenze. Il livello di apprendimento è molto basso sorattutto perché la frequenza non è assidua. Un giorno capita di avere in classe ventiquattro allievi; il giorno dopo, magari, soltanto nove. Ogni tanto spunta qualche nuovo allievo e, purtroppo, qualcun altro abbandona la scuola.

Una delle lezioni che sto apprendendo dal Pakistan è la disponibilità al cambiamento e alla precarietà. Imparo che i programmi possono essere modificati all’ultimo momento, magari senza un minimo preavviso, che basta un’interruzione della corrente elettrica (non infrequente) per dover reinventare sull’istante un’attività, che la qualità dei rapporti con le Autorità è legata alle disposizioni di animo (mutevoli) di una singola persona. Al riguardo, ultimamente la precarietà è vissuta anche nei confronti della possibilità, per i missionari, di rimanere in Pakistan. Pure in passato l’attesa per il visto di ingresso era lunga, ma il rinnovo annuale veniva concesso senza grosse difficoltà. Ultimamente il rinnovo del visto per i missionari comincia ad essere rifiutato o, per lo meno, come nel mio caso, arriva con molto ritardo ed ha la durata di sette mesi.

Nonostante la precarietà della situazione, il sostegno dei miei confratelli e, in particolare, dei ragazzi, mi spingono a dare il meglio. Nella nostra scuola e nel convitto abbiamo dei ragazzi d’oro. Tra gli exallievi, poi, vi è Akash Bashir, un giovane che nel 2015, mentre era in servizio d’ordine presso la parrocchia del nostro quartiere, non ha esitato a sacrificare la propria vita per impedire ad un attentatore di entrare in chiesa per compiere una strage.

Conto sulla preghiera di tutti voi. Anch’io prego per la mia ex ispettoria.

Un abbraccio.

Piero Ramello.

Giornata di preghiera in memoria dei missionari martiri – Intervista al salesiano Piero Ramello

La giornata di oggi, 24 marzo, è dedicata al ricordo e alla preghiera dei missionari martiri. Per l’occasione, il giornale online L’Agenda News dedica un articolo-intervista al salesiano Piero Ramello, arrivato il 2 ottobre scorso in Pakistan (nella città di Lahore) per dedicarsi alla missione. Di seguito il testo.

I Salesiani per la Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri
Intervista al salesiano Piero Ramello

TORINO – Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri. I salesiani del Pakistan hanno ricordato il 15 marzo scorso il sesto anniversario del martirio di Akash Bashir. Era il diciottenne ex-allievo dell’Istituto tecnico Don Bosco di Lahore, il quale che impedì ad un attentatore di accedere nella chiesa del quartiere di Youhanabad gremita di fedeli. Evitò una strage più pesante di quella che avvenne quando il terrorista si fece esplodere causando la morte di venti persone all’esterno.

“Morirò, ma non ti lascerò entrare” furono le ultime parole di Akash.

Piero Ramello fino a poco più di un anno fa viveva a Torino, insegnava fisica e matematica all’Istituto Agnelli. È un salesiano coadiutore, originario del Pinerolese. Oggi vive a Lahore, capitale culturale del Pakistan.

L’INTERVISTA
Com’è la società pakistana?

“La religione occupa un posto di primo piano. Quello che colpisce di più arrivando da una società secolarizzata, è la religiosità diffusa. Del resto, non può essere altrimenti: la religione permea tutta la società. Sette volte al giorno gli altoparlanti delle moschee annunciano la preghiera, e la città in quei momenti si ferma. Tante usanze e tradizioni sono legate a significati religiosi. Molti libri o discorsi, anche di carattere laico, iniziano nel nome di Allah”.

Com’è il rapporto delle istituzioni civili con la fede islamica?

“A fianco di questa considerazione positiva, credo però che l’Islam in Pakistan debba ancora trovare una sintesi nel delicatissimo equilibrio tra religione e politica. Quando la religione entra a gamba tesa nella vita politica e nel diritto, dettando comportamenti concreti che vincolano ogni cittadino, si creano grossi pericoli per la democrazia e il rispetto delle minoranze. Molto pericolosa è anche una interpretazione letterale del Corano da parte di alcuni gruppi integralisti”.

I CRISTIANI
Com’è la condizione e dei cristiani?

“Al di là di questo, comunque, ci sono problemi a livello culturale e sociale. Non parlerei di persecuzione dei cristiani in Pakistan, ma di discriminazione sì. Essendo un’esigua minoranza, i cristiani sono considerati di minore importanza e hanno poche opportunità all’interno della società. La maggioranza dei cristiani discende dalle classi basse Hindu che si sono convertite durante il dominio britannico, e ancora oggi rappresentano la parte economicamente più debole della popolazione”.