Buonanotte Missionaria Febbraio 2023 – Don Adolphe-Marie Akpoué, Sdb

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

Per questo mese di febbraio, l’esperienza di Don Adolphe-Marie Akpoué, originario del Benin, missionario per 15 anni in Togo e ora chiamato a Valdocco, nella Comunità “Maria Ausiliatrice” a servizio dell’animazione dei luoghi salesiani. Un esempio di vocazione salesiana e devozione ai giovani.

 

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Cari confratelli e cari amici,

Sono don Adolphe-Marie Akpoué, salesiano di Don Bosco dal 16 agosto 1988. Originario del Benin, ho prestato il mio servizio per 15 anni in Togo e ora, chiamato dal Superiore, mi trovo dal 30 agosto 2022 a Valdocco, culla del carisma salesiano nella Comunità “Maria Ausiliatrice” per continuare a vivere con gioia e passione la mia vocazione salesiana. È una grazia.

La mia buona notte verterà sulla mia vocazione salesiana e sulla mia esperienza missionaria in Togo. La condivido con fiducia e ringrazio l’equipe di Animazione Missionaria di questa opportunità.

 

La vocazione salesiana

Innanzitutto devo dire che ho avuto fin da bambino il desiderio di andare al seminario minore per diventare sacerdote, ma i miei genitori si opposero. Sono allora cresciuto con l’idea di essere un buon cristiano, facendo un matrimonio religioso prima di vivere con mia moglie e avere figli. Già quest’idea è stata fortemente osteggiata dal contesto socio-culturale, ma in fondo non ho mai smarrito il desiderio di diventare sacerdote.

Nel 1983, mia madre, per motivi di lavoro, fu assegnata a Comé, dove i Salesiani erano già arrivati dall’ispettoria di Bilbao dal 1980 in seguito all’appello del “Progetto-Africa” lanciato da don Viganò. Avevo allora diciassette anni. Essendo già militante di Azione Cattolica per l’Infanzia, mi sono presentato in parrocchia ai missionari spagnoli (non sapevo che fossero salesiani, e non me l’avevano mai detto neanche loro) per continuare il mio impegno apostolico. Sono stato ben accolto dal missionario che si occupa dei giovani. Lui mi ha incoraggiato a continuare a vivere il mio impegno apostolico nella casa di Comé. È stato vivendo questo servizio e vedendo il loro esempio e la loro costante presenza tra i giovani della parrocchia, che mi è tornata in mente l’idea della totale consacrazione al Signore.

Sentivo forte in me il desiderio di donarmi totalmente a Dio. L’aggettivo “totale” è forse quello che meglio descrive il mio desiderio di diventare sacerdote. Ciò nonostante però, allo stesso tempo, stavo valutando altre carriere per la difesa dei diritti dei più poveri (avvocato, lotta alla corruzione, tassista dopo il diploma di maturità per difendere dal di dentro i diritti degli autisti vittime di continui soprusi). “Essere onesto? Tu sei matto.. ti uccideranno” – mi dicevano. Ogni tanto a casa i miei genitori mi dicevano: “Come ti comporti? Cosa fai? Guarda che non vogliamo che tu un domani faccia il prete”. Quando li sentivo parlare così, riuscivo solo a sorridere, ma nel mio cuore una voce mi diceva che le altre carriere che stavo considerando erano interessanti, ma che ero chiamato a dare tutta la mia vita al Signore.

Un giorno, senza dire nulla a casa e spinto da una forza interiore, sono andato in parrocchia e ho comunicato a padre Juan Carlos Ingunza la mia intenzione di diventare sacerdote e di fare come loro (non conoscevo la parola “salesiano”). Mi ha chiesto cosa intendessi dire con “fare come loro”. Allora gli ho detto: “quando diventerò sacerdote, mi prenderò cura dei bambini e dei giovani come fate voi”. E lui mi ha detto “cioè diventare salesiano, entrare nella nostra Congregazione”. “Allora posso entrare nella vostra congregazione?”, chiesi.  “Sì, visto che dici di voler fare come noi prendendoti cura dei bambini e dei giovani”. “In questo caso, come diventare salesiano?”. Allora padre Juan mi ha spiegato la specificità della vita religiosa richiamando specialmente la mia attenzione sulle implicazioni del voto di povertà che i sacerdoti diocesani non fanno. Mi ha fatto capire la radicalità di vita che comporta la mia scelta. Gli ho detto che era esattamente così che intendevo vivere la mia vocazione.

Tornato a casa, ho informato mia madre di ciò che temeva: “Vado a farmi prete e mi unisco alla congregazione dei missionari che sono in parrocchia, cioè vado a fare il salesiano”. Questa notizia fu accolta dalla mia famiglia come una pugnalata alle spalle. “Ma ti abbiamo detto di no”, disse mia madre. “Mamma, è quello che sento e non ho resistito alla voce che ho sentito e mi ha fatto andare a dirlo ai missionari”.

C’era una forte opposizione alla mia scelta. Diversi membri della famiglia e conoscenti, informati della cosa, hanno cercato di dissuadermi. Mi è stato persino offerto di diventare sacerdote diocesano, pur di non essere salesiano. Ho insistito e ho tenuto duro. Mia madre trovava difficile sopportare che andassi via di casa. Ha pianto quel giorno. Ho iniziato il cammino a Parakou (Benin), poi a Lomé (Togo) e il 16 agosto 1988 ho emesso la mia prima professione religiosa cui è seguita nel 1995 quella perpetua.

Essendo aspirante al sacerdozio, ho studiato Teologia a Lubumbashi (Repubblica Democratica del Congo) e il 2 agosto 1997 sono stato ordinato sacerdote insieme ad altri due salesiani beninesi. Abbiamo aperto la strada ad altri giovani per seguire Cristo sulle orme di Don Bosco.

 

Missionare in Togo nell’ex Provincia dell’Africa occidentale francofona

Innanzitutto devo dire che ho avuto fin da bambino il desiderio di andare al seminario minore per diventare sacerdote, ma i miei genitori si opposero. Sono allora cresciuto con l’idea di essere un buon cristiano, facendo un matrimonio religioso prima di vivere con mia moglie e avere figli. Già quest’idea è stata fortemente osteggiata dal contesto socio-culturale, ma in fondo non ho mai smarrito il desiderio di diventare sacerdote.

Nel 1983, mia madre, per motivi di lavoro, fu assegnata a Comé, dove i Salesiani erano già arrivati dall’ispettoria di Bilbao dal 1980 in seguito all’appello del “Progetto-Africa” lanciato da don Viganò. Avevo allora diciassette anni. Essendo già militante di Azione Cattolica per l’Infanzia, mi sono presentato in parrocchia ai missionari spagnoli (non sapevo che fossero salesiani, e non me l’avevano mai detto neanche loro) per continuare il mio impegno apostolico. Sono stato ben accolto dal missionario che si occupa dei giovani. Lui mi ha incoraggiato a continuare a vivere il mio impegno apostolico nella casa di Comé. È stato vivendo questo servizio e vedendo il loro esempio e la loro costante presenza tra i giovani della parrocchia, che mi è tornata in mente l’idea della totale consacrazione al Signore.

Sentivo forte in me il desiderio di donarmi totalmente a Dio. L’aggettivo “totale” è forse quello che meglio descrive il mio desiderio di diventare sacerdote. Ciò nonostante però, allo stesso tempo, stavo valutando altre carriere per la difesa dei diritti dei più poveri (avvocato, lotta alla corruzione, tassista dopo il diploma di maturità per difendere dal di dentro i diritti degli autisti vittime di continui soprusi). “Essere onesto? Tu sei matto.. ti uccideranno” – mi dicevano. Ogni tanto a casa i miei genitori mi dicevano: “Come ti comporti? Cosa fai? Guarda che non vogliamo che tu un domani faccia il prete”. Quando li sentivo parlare così, riuscivo solo a sorridere, ma nel mio cuore una voce mi diceva che le altre carriere che stavo considerando erano interessanti, ma che ero chiamato a dare tutta la mia vita al Signore.

Un giorno, senza dire nulla a casa e spinto da una forza interiore, sono andato in parrocchia e ho comunicato a padre Juan Carlos Ingunza la mia intenzione di diventare sacerdote e di fare come loro (non conoscevo la parola “salesiano”). Mi ha chiesto cosa intendessi dire con “fare come loro”. Allora gli ho detto: “quando diventerò sacerdote, mi prenderò cura dei bambini e dei giovani come fate voi”. E lui mi ha detto “cioè diventare salesiano, entrare nella nostra Congregazione”. “Allora posso entrare nella vostra congregazione?”, chiesi.  “Sì, visto che dici di voler fare come noi prendendoti cura dei bambini e dei giovani”. “In questo caso, come diventare salesiano?”. Allora padre Juan mi ha spiegato la specificità della vita religiosa richiamando specialmente la mia attenzione sulle implicazioni del voto di povertà che i sacerdoti diocesani non fanno. Mi ha fatto capire la radicalità di vita che comporta la mia scelta. Gli ho detto che era esattamente così che intendevo vivere la mia vocazione.

Tornato a casa, ho informato mia madre di ciò che temeva: “Vado a farmi prete e mi unisco alla congregazione dei missionari che sono in parrocchia, cioè vado a fare il salesiano”. Questa notizia fu accolta dalla mia famiglia come una pugnalata alle spalle. “Ma ti abbiamo detto di no”, disse mia madre. “Mamma, è quello che sento e non ho resistito alla voce che ho sentito e mi ha fatto andare a dirlo ai missionari”.

C’era una forte opposizione alla mia scelta. Diversi membri della famiglia e conoscenti, informati della cosa, hanno cercato di dissuadermi. Mi è stato persino offerto di diventare sacerdote diocesano, pur di non essere salesiano. Ho insistito e ho tenuto duro. Mia madre trovava difficile sopportare che andassi via di casa. Ha pianto quel giorno. Ho iniziato il cammino a Parakou (Benin), poi a Lomé (Togo) e il 16 agosto 1988 ho emesso la mia prima professione religiosa cui è seguita nel 1995 quella perpetua.

Essendo aspirante al sacerdozio, ho studiato Teologia a Lubumbashi (Repubblica Democratica del Congo) e il 2 agosto 1997 sono stato ordinato sacerdote insieme ad altri due salesiani beninesi. Abbiamo aperto la strada ad altri giovani per seguire Cristo sulle orme di Don Bosco.