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Racconti di Missione: Tunisia

Dopo il rientro dalle missioni estive, i diversi gruppi partiti raccontano la loro esperienza. Di seguito il resoconto della coppia partita per Manouba, in Tunisia (Africa).

La nostra esperienza in Tunisia

Missione in Tunisia: tre settimane di vita e di futuro

Un gruppo di sette persone – cinque giovani e due accompagnatori – ha vissuto questa estate tre settimane di missione nella comunità salesiana di Manouba, alle porte di Tunisi. L’esperienza è stata il frutto del “Percorso nel cuore del mondo”, cammino annuale di animazione missionaria che prepara i giovani a vivere un’estate di servizio. Ogni gruppo del percorso viene inviato in una diversa realtà: a loro è stata affidata la Tunisia, un Paese dove la Chiesa è piccola ma ricca di vita.

La comunità salesiana di Manouba è insieme scuola e oratorio. In una terra a maggioranza musulmana, la testimonianza cristiana non passa attraverso grandi manifestazioni, ma ci è stata trasmessa attraverso la vicinanza quotidiana: pasti condivisi, momenti di preghiera, attività educative e semplici gesti di fraternità che ci hanno fatto sentire davvero parte di una famiglia.

Il cuore dell’esperienza è stato l’Estate Ragazzi, che a Manouba dura sette settimane e che noi abbiamo vissuto negli ultimi venti giorni, affiancando gli animatori locali. Giochi, laboratori, gite, momenti di riflessione e di preghiera: tutto contribuiva a creare un’oasi in cui bambini e adolescenti si sentivano accolti, liberi e guardati con fiducia. In una realtà dove spesso mancano spazi sicuri, l’oratorio diventa davvero un luogo che apre al futuro.

Accanto al servizio, c’è stato l’incontro con le persone e le comunità. Abbiamo toccato con mano le difficoltà delle famiglie – la povertà, i lavori faticosi, le disuguaglianze – ma anche la forza di una Chiesa piccola e viva, che sa testimoniare con coraggio e gioia. La visita alle comunità cristiane del territorio – dalla cattedrale di Tunisi alle Suore di Ayn Darahim, fino alle Figlie di Maria Ausiliatrice di Menzel Bourghiba – ci ha fatto respirare l’universalità della Chiesa. Momenti come la processione dell’Assunta a La Goulette, che unisce cristiani e musulmani in un’unica festa di popolo, ci hanno ricordato che il Vangelo sa costruire ponti di fraternità.

In tutto questo, ciò che ci ha colpito è stata la semplicità con cui la fede si manifesta: una cena condivisa, una testimonianza dopo la Messa, una serata passata in fraternità. La missione si regge su questa prossimità quotidiana, capace di unire persone di culture e religioni diverse. Anche le uscite al mare con i ragazzi, o la visita a Cap Angela – il punto più a nord dell’Africa – sono diventate occasioni per rafforzare legami, vivere la bellezza e aprire i cuori.

Punti di forza

Tre settimane a Manouba ci hanno fatto scoprire alcune ricchezze decisive. La prima è l’attualità del Vangelo: in un contesto dove la fede cristiana è minoranza, la Parola di Dio risuona con forza e suscita domande anche in chi non conosce Cristo. Lo ha ricordato il vescovo Nikolà celebrando a Manouba: il Vangelo opera anche attraverso chi appartiene ad altre religioni, aprendo cammini di ricerca e di vocazione.

La seconda è l’universalità della Chiesa: religiosi e religiose provenienti da ogni parte del mondo – Italia, Congo, Vietnam, Kenya, Giordania – che vivono insieme e testimoniano la fraternità dei figli di un unico Padre. L’accoglienza che abbiamo sperimentato ci ha fatto sentire parte di questa comunione.

La terza è la scelta consapevole della fede dei cristiani tunisini: qui andare a Messa non è un’abitudine, ma una decisione coraggiosa e quotidiana. Pregare, accostarsi ai sacramenti, testimoniare il Vangelo diventa un atto libero e gioioso. La celebrazione del 15 agosto, come dicevamo, ne è stata un segno luminoso: comunità diverse, autorità civili e musulmani uniti sotto lo sguardo di Maria.

Le sfide

Naturalmente, non sono mancate difficoltà che ci hanno interrogato. La povertà è reale: molti ragazzi arrivano all’oratorio con vestiti consunti, segno di famiglie che faticano a sostenere il costo della vita. Le strade raccontano disordine, sporcizia e disagio; la microcriminalità, pur non vissuta direttamente, ci è stata descritta come diffusa nei quartieri più poveri.

Eppure, dietro tutto questo, ci sono i volti sorridenti dei ragazzi, la loro voglia di vivere e di costruire un futuro diverso. Lì abbiamo riconosciuto che la missione non è solo osservare problemi, ma lasciarsi contagiare dall’energia vitale di chi spera ancora.

Alcuni aspetti educativi ci hanno fatto riflettere. Ad esempio, la rigidità con cui talvolta vengono applicate le punizioni, senza spiegazioni. Questo ci ha interrogati, ma non in chiave critica: in Italia rischiamo spesso l’estremo opposto, con ragazzi senza punti di riferimento. Forse – come ricorda San Benedetto con la sua “discretio”, madre di tutte le virtù – la via sta nell’equilibrio: unire fermezza e dialogo, autorevolezza e accompagnamento.

Un’altra sfida riguarda il sistema preventivo salesiano: c’è l’opportunità di incarnarne in modo più consapevole e coraggioso i pilastri educativi, trasformandoli ancora di più in prassi quotidiana e condivisa da tutti. Questo richiede tempo e accompagnamento attento, ma può portare grandi frutti con il sostegno dei missionari e attraverso ulteriori occasioni di confronto e collaborazione.

Uno sguardo al futuro

La speranza più grande restano i ragazzi. Sono loro che rendono viva la comunità, che trasformano l’oratorio in un cuore pulsante di vita. Gli animatori locali, pur con i loro limiti, hanno dato una testimonianza forte: la missione non si costruisce con eventi straordinari, ma con una presenza fedele e quotidiana.

Guardando indietro, comprendiamo che la missione in Tunisia non è stata solo un’esperienza estiva, ma una vera scuola di vita. Abbiamo imparato che la fede è una scelta quotidiana; che l’oratorio può essere un’oasi anche nei contesti più difficili; che la Chiesa è davvero universale, capace di parlare tutte le lingue e di abitare tutte le culture.

Ci portiamo a casa i sorrisi dei bambini, le parole semplici dei confratelli e la testimonianza di una Chiesa piccola ma viva nella fede. A Manouba abbiamo sperimentato quanto sia vero che la cura e l’attenzione verso i giovani, come insegnava Don Bosco, è già di per sé una forma d’amore concreta e quotidiana. Questa esperienza continuerà a guidarci nel nostro cammino, ricordandoci che ogni gesto di presenza e attenzione può fare la differenza nella vita di un ragazzo.

Racconti di Missione: Kenya

Dopo il rientro dalle missioni estive, i diversi gruppi partiti raccontano la loro esperienza. Di seguito il resoconto della coppia partita per Marsabit e Embu, in Kenya (Africa).

La nostra esperienza in Kenya

Prima di condividere il nostro racconto, sentiamo di dover fare una premessa: siamo una giovane coppia in cammino verso il matrimonio e, per imparare a rendere fecondo il nostro amore, dopo un lungo discernimento guidato da don Marco Cazzato e suor Lucia Vàsquez Figueroa, siamo stati inviati in missione in Kenya. Abbiamo avuto l’occasione di vivere due realtà molto diverse tra loro.

La prima tappa è stata Marsabit, capoluogo dell’omonima contea al confine con l’Etiopia, nel cuore del deserto. Qui siamo stati accolti da una comunità di tre Salesiani presso il Don Bosco Technical Institute, una scuola professionale che offre ai giovani la possibilità di imparare un mestiere in modo concreto, per affrontare con dignità il mondo del lavoro. A Marsabit abbiamo toccato con mano la povertà più profonda e le ingiustizie più grandi. Nel pomeriggio la scuola apriva le porte a bambini e ragazzi di ogni età: per molti era l’unica occasione di giocare insieme o di guardare la televisione, esperienza rara e preziosa. La barriera linguistica non ci permetteva di comunicare molto, ma abbiamo compreso che la cosa più importante era semplicemente esserci: stare accanto a loro con presenza e attenzione.

La seconda tappa è stata Embu, nel cuore del Kenya, una zona rigogliosa e verdeggiante. Qui siamo stati ospitati dalle Figlie di Maria Ausiliatrice presso la Don Bosco Girls Secondary School. Nel periodo di pausa scolastica abbiamo partecipato ai lavori di manutenzione e, allo stesso tempo, collaborato all’oratorio con attività semplici e coinvolgenti. Sin da subito si è creata una sintonia speciale con le sorelle e con i bambini. Solo l’ultimo giorno ci siamo resi conto della profondità dei legami nati in pochi giorni: il saluto finale è stato carico di emozione, con qualche lacrima condivisa.

Ripensando a questa esperienza, ci accorgiamo che le difficoltà, messe interminabili in swahili, barriere linguistiche, contatto diretto con la povertà, sono state anche il terreno in cui abbiamo imparato di più. I bambini ci hanno ricordato che l’essenziale non è mai poco: lo si trova nei beni che permettono di vivere e nella sorprendente capacità di trasformare un gioco semplice in una sorgente inesauribile di gioia ed intrattenimento.

La missione non si conclude con il rientro a casa: comincia ora, nel quotidiano, custodendo i volti e i sorrisi incontrati, e lasciando che continuino a trasformare il nostro modo di vivere e di amare

Racconti di Missione: Sierra Leone

Dopo il rientro dalle missioni estive, i diversi gruppi partiti raccontano la loro esperienza. Di seguito il resoconto del gruppo partito per Bo, in Sierra Leone (Africa).

La nostra esperienza in Sierra Leone

La Sierra Leone è un Paese dell’Africa occidentale che si affaccia sull’oceano Atlantico, situato tra la Guinea e la Liberia. Conta circa 8 milioni di abitanti ed è tra gli Stati più poveri al mondo, nonostante disponga di ricche risorse minerarie che lo rendono uno dei principali produttori di diamanti a livello globale.

La nostra esperienza si è svolta qui per quattro settimane, da fine luglio a fine agosto. Nei primi giorni abbiamo visitato la capitale, Freetown, che conta circa 1,2 milioni di abitanti; successivamente ci siamo spostati a Bo, la seconda città del Paese (circa 300 mila abitanti), dove siamo rimasti per oltre tre settimane.

Il nostro arrivo ha coinciso con la stagione delle piogge, che in estate raggiunge il suo apice: la pioggia ci ha accompagnato quasi quotidianamente. Già dall’aereo, la prima impressione è stata quella di una distesa sconfinata di vegetazione verde brillante, interrotta solo da strade sterrate color rosso intenso, città e villaggi. Anche nel tragitto da Freetown a Bo, circa quattro ore di macchina, il paesaggio ha restituito le stesse sensazioni. Le principali arterie che collegano il Paese da nord a sud sono asfaltate, così come le vie centrali delle città più grandi, ma a Bo e nei villaggi circostanti ci si sposta quasi esclusivamente su strade sterrate.

Quello che colpisce subito, a livello sociale, è la giovanissima età della popolazione: l’età media è di circa 18 anni, e ovunque ci si imbatte in una moltitudine di bambini. È un’immagine che trasmette speranza e futuro, ma che convive con condizioni di vita estremamente difficili. Molte famiglie abitano in case di lamiera prive di gas, elettricità e, spesso, di acqua potabile. Gran parte della vita quotidiana si svolge per le strade, sempre animate e affollate: qui molti lavorano vendendo ciò che hanno, e non è raro incontrare bambini con ceste colme di caramelle, peperoncini o piccoli oggetti che offrono ai passanti. La moneta locale è il Leone (circa 25 leoni per 1 euro); per avere un’idea, lo stipendio medio di un insegnante di scuola pubblica si aggira attorno ai 2000 leoni, pari a circa 80 euro al mese.

Nonostante la povertà e le difficoltà quotidiane – tra i più alti tassi di mortalità infantile e una delle aspettative di vita più basse al mondo – ciò che ci ha maggiormente sorpreso è stata la semplicità, la gentilezza e la calorosa accoglienza delle persone. I bambini, in particolare, ci hanno insegnato quanto si possa gioire delle piccole cose e ridere di cuore anche senza nulla.

I salesiani sono arrivati in Sierra Leone nei primi anni Duemila, al termine della guerra civile, per affrontare l’emergenza educativa. Oggi sono presenti con quattro comunità: due a Freetown, una a Lungi e una a Bo. Abbiamo avuto la fortuna di visitarle tutte, scoprendo la varietà delle loro opere: scuole, centri estivi, assistenza carceraria, parrocchie e case di accoglienza per giovani vittime di violenza domestica o ragazze costrette alla prostituzione. Tra i momenti più toccanti, l’affetto e la gratitudine della popolazione verso Don Bosco e l’opera salesiana, percepibili in ogni incontro.

Durante il nostro soggiorno, l’attività principale è stata il Summer Camp organizzato dalla comunità salesiana di Bo. A differenza di ciò a cui siamo abituati, la partecipazione era davvero impressionante: circa 400 bambini e ragazzi, accompagnati da 80 animatori. Le giornate iniziavano alle otto con lezioni scolastiche fino a mezzogiorno, seguite da laboratori pratici – musica, danza, arte, cucina – e dal pranzo, preparato in loco e chiamato in lingua locale chop chop. Nel pomeriggio, le quattro grandi squadre si sfidavano in giochi, tornei e cacce al tesoro. All’inizio ci siamo trovati spiazzati dalle modalità di gioco, che non coinvolgevano sempre tutti i ragazzi contemporaneamente. Ben presto, però, abbiamo capito che per loro non era affatto un problema: anche solo tifare, cantare e sostenere i compagni era fonte di divertimento.

Nell’ultima settimana abbiamo preso parte anche alle attività di Culture, in cui ciascuna squadra preparava danze e scenette ispirate alle lingue e tradizioni locali. È stata l’occasione per apprendere alcune parole delle lingue tipiche e immergerci ulteriormente nella cultura del Paese.

Oltre al centro estivo, abbiamo vissuto altre esperienze che ci hanno permesso di comprendere meglio la realtà locale e il lavoro dei salesiani. Abbiamo partecipato al loro servizio nelle carceri di Bo, distribuendo pasti e condividendo tempo con i detenuti. Più che il riso offerto, ciò che conta è l’attenzione: attraverso istruzione, gioco, catechismo e ascolto, viene restituita dignità a persone che spesso si sentono dimenticate.

Abbiamo incontrato anche un’altra congregazione, i Christian Brothers, con i quali abbiamo condiviso alcune attività, tra cui una serata di fraternità fatta di gioco, preghiera e condivisione di esperienze. Inoltre, abbiamo visitato l’università di Bo, dialogando con il rettore per capire meglio le sfide legate all’istruzione: tra queste, la necessità per molti giovani di interrompere gli studi per lavorare e guadagnare il denaro necessario a proseguirli, oltre alla forte disoccupazione che limita le prospettive dei più meritevoli.

Un altro momento significativo è stata la visita all’ospedale pubblico di Bo: ci sono stati illustrati i principali problemi del sistema sanitario, tra cui la difficoltà per molti pazienti, soprattutto bambini, di raggiungere tempestivamente la struttura. Nonostante i mezzi scarsi, abbiamo incontrato medici e operatori impegnati con dedizione e competenza.

Tra le tappe più belle ricordiamo la visita a Kenema, terza città del Paese, e al villaggio di Gerihun, vicino a Bo, dove siamo stati accolti con grande entusiasmo, soprattutto dai bambini.

Vivere a contatto con una realtà così diversa dalla nostra è stato impegnativo ma anche sorprendentemente naturale, grazie alla coesione del nostro gruppo e alla continua ospitalità ricevuta. Le uniche difficoltà iniziali hanno riguardato il cibo, spesso molto piccante. Per il resto, essere circondati da sorrisi e saluti ci ha reso il mese in Sierra Leone un’esperienza semplice e piena di gioia.

Inoltre, le sfide quotidiane e le situazioni di disagio e di povertà che i Sierra Leonesi vivono sono state colmate dalla fiducia nel futuro, la speranza  e la concretezza nel rendere migliore ciò che si vive, qualità evidenti in ogni Sierra Leonese. Tutte le persone che abbiamo incontrato, bambini e adulti, sognano: tutti hanno dei grandi desideri, come quello di diventare medici, di diventare avvocati o di trasferirsi all’estero e di avere una chance nello sport. Per noi, è stato sorprendente ascoltare le loro parole ricche di speranza e vedere in tutti un atteggiamento di forte resilienza, di continua fiducia nell’avvenire e di costante impegno. Di questa forte volontà di agire con lo scopo di avere cura e rendere migliore, ne abbiamo avuto testimonianza nei diversi progetti che ci sono stati mostrati.

Infatti, vista la continua crescita del movimento salesiano nelle comunità della Sierra Leone, presto sarà fondata una nuova casa salesiana a Kenema, la terza città più grande della Sierra Leone che si trova circa un’ora distante da Bo. La futura presenza dei salesiani garantirà l’attenzione per i bambini e i giovani della città, che fino ad oggi non hanno la possibilità di partecipare al Summer camp o ad iniziative a loro dedicate, in quanto Kenema ne è completamente sprovvista.

Inoltre, questo nuovo progetto salesiano apre le porte ai futuri missionari, che avranno l’occasione di portare don Bosco in una nuova realtà e di animare il primo Summer Camp di Kenema. 

Un’altra iniziativa che abbiamo davvero a cuore riguarda il villaggio Gerihyn, a pochi minuti da Bo. Tutto è partito dall’idea spontanea del nostro accompagnatore di portare gioco e gioia ai bambini di un piccolo villaggio, nel quale non erano previste alcune attività estive per i giovani. Così, ci siamo lanciati in questa esperienza con i Christian Brothers, e con loro e i giovani del posto abbiamo avuto una mattinata di giochi organizzati e di divertimento, che molto probabilmente si trasformerà in un’attività svolta abitualmente dai Christian Brothers durante l’anno! Ci auguriamo davvero che possa andare avanti questa piccola iniziativa con l’obiettivo di coinvolgere in spirito salesiano tutti i giovani, quelli dei villaggi, quelli delle grandi città, i più poveri e più ricchi. 

Un altro progetto che va avanti da anni e che abbiamo visto con i nostri occhi è l’attività salesiana nelle carceri. La casa salesiana di Bo coinvolge alcuni giovani a prestare cure e servizi di prima necessità ai detenuti della prigione di Bo, come cibo, cura dell’igiene personale e apprendimento di un mestiere. Purtroppo questo progetto ha una scadenza fissata alla fine di quest’anno, ma è già stata inviata una nuova scrittura del progetto e tutti si augurano che possa essere rinnovato. Inoltre nel nuovo progetto è stata proposta l’estensione dell’attività salesiana anche nei carceri femminili.

Terminata questa esperienza, pensiamo che la Missione sia un’occasione preziosa per uscire dalla propria zona di comfort e scoprire quanto sia arricchente incontrare l’altro nella sua diversità. Non è soltanto un viaggio, ma un cammino interiore che ti spinge a guardare il mondo con occhi nuovi.

Nella missione impari a vivere con semplicità, ad apprezzare ciò che spesso dai per scontato e a comprendere il valore delle piccole cose. Servire chi è più fragile mi ha aiutato a sviluppare empatia, gratitudine e capacità di ascolto.

Questa esperienza ti mette davanti a sfide concrete che formano il carattere: impari a collaborare, a fidarti degli altri, a donare tempo ed energie senza aspettarti nulla in cambio. È anche un momento forte di crescita spirituale: ti confronti con la fede vissuta in modi diversi e scopri che la speranza nasce dalla condivisione.

Al ritorno, non sei più lo stesso: porti con te volti, storie e insegnamenti che continuano a parlarti. Per questo una missione non è solo un’esperienza temporanea, ma un seme che cambia il cuore e ispira a vivere ogni giorno con maggiore apertura e responsabilità.

“Missione è…” – Vocabolario Missionario 2025

I giovani della nostra Ispettoria partiti lo scorso agosto per un’esperienza missionaria in Sierra Leone, in Tunisia e in Kenya, hanno realizzato una serie di mini-video dal tema “Missione è…” per raccontare attraverso una parola o una breve frase l’esperienza vissuta.

Missione Sierra Leone

“Accompagnare” | Benedetta Baldellino

“Concretezza” | Pierluigi Livani

“Essenzialità” | Riccardo Tufilli SDB

“Luce” | Elena Porporato

“Passione entusiasmante” | Chiara Iurisci

“Sguardo” | Gessica Ravera

“Stagione delle piogge” | don Giò

“Stare” | Francesca Lupotti

Missione Tunisia

“Accoglienza” | don Marco

“Condivisione” | Federica Manzon

“Fraternità” | Elena Menguzzo

“Gioia” | Camilla Zoccarato

“Pellegrinaggio” | Riccardo Tondo

“Stare” | Giorgio Bersano

“Trovare” | Laura Blaj

Missione Kenya

“Essenziale” | Giorgio Moretto

“Relazione” | Altea Robutti

Il progetto si inserisce all’interno del Vocabolario Missionario, iniziativa che raccoglie le testimonianze dei partiti in missione che, a partire da una parola, cercano di spiegare come l’esperienza lascia il segno e va in profondità nel cuore delle persone, tanto da arrivare a modificare il valore ed il significato di termini che prima sembravano comuni.

“Missione è…” – Vocabolario Missionario 2024

I giovani della nostra Ispettoria partiti lo scorso agosto per un’esperienza missionaria a Ngozi, in BurundiNairobi, in KenyaVilniaus e Telsiai, in Lituania e Bo, in Sierra Leone, hanno realizzato una serie di mini-video dal tema “Missione è…” per raccontare attraverso una parola o una breve frase l’esperienza vissuta.

Missione Ngozi, Burundi

“Amore” | Alfredo Paba

“Un segno” | Matilda Cosentino

“Affidamento” | Luca Scavino

“Luce” | Irene Conversa

“Uno specchio” | Chiara Bartolini

“Incontro” | Alice Opalio

“Camminare insieme” | don Marco Cazzato

Missione Nairobi, Kenya

 “Asante sana” | Suor Lucia Vasquez Figueroa

 “Comunità” | Luca De Cilladi

“Acqua” | Giacomo Chiaramello

“Occhi” | Enrica Oneglio

“Sorriso” | Carlotta Turin

“Fiducia” | Maddalena Cermele

Missione Bo, Sierra Leone

“Corpo” | Cecilia Vergnano

“Cura” | Francesca Palma

“Perdere” | Martina Delfino

“Curiosità” | Michele Sandonà

“Piedi” | Tommaso Riaudo

Missione Telšiai, Lituania

“Casa” | Anna Fontana

“Fiducia” | Caterina Valera

“Candela” | Fabio Bovo

“Coraggio” | Nicole Audero

 

Il progetto si inserisce all’interno del Vocabolario Missionario, iniziativa che raccoglie le testimonianze dei partiti in missione che, a partire da una parola, cercano di spiegare come l’esperienza lascia il segno e va in profondità nel cuore delle persone, tanto da arrivare a modificare il valore ed il significato di termini che prima sembravano comuni.

Torino sulle orme di don Bosco – Famiglia Cristiana

Si riporta di seguito l’articolo apparso su Famiglia Cristiana.

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A Valdocco, il “quartier generale” dove è nata l’avventura educativa del “Santo dei giovani” che oggi continua in 134 Paesi del mondo grazie ai missionari salesiani

Ogni volta che torno sui luoghi di san Giovanni Bosco mi emoziono profondamente.

È incredibile come questo grande santo abbia speso la sua vita per i giovani e gli ultimi portando frutti immensi in tutto il mondo in così poco tempo.

Dinanzi alla sua tomba e a quella di san Domenico Savio percepisco un’aria di grazia, una potenza inaudita e m’immergo nella preghiera più profonda con un cuore colmo di pace e commozione.

Mi sento davvero piccolo dinnanzi a questi due giganti di santità.

Poi a Valdocco, il “quartier generale” della famiglia salesiana, si respira un’aria di internazionalità grazie ai missionari provenienti dai diversi continenti.

Domenica prossima il nostro viaggio ci farà ripercorrere la storia di don Bosco, un energico sacerdote piemontese che dedicò la sua vita all’educazione e all’aiuto dei giovani più svantaggiati, e contemplare l’opera concreta di questo santo, fondatore dell’Ordine dei Salesiani.

In particolare, le missioni che in Italia e all’estero, grazie alla Onlus Missioni Don Bosco e a tanti missionari e testimoni che dedicano la loro vita ai più fragili nei vari Paesi del mondo.

Uno di questi è don Gianni Rolandi, che è stato per anni missionario in Kenya:

«La presenza salesiana nell’Africa dell’Est è iniziata nel 1980», racconta, «io ho vissuto prevalentemente in Kenya, alcuni anni in Tanzania e ho visitato il Sudan e il Sud Sudan. Dall’8 settembre scorso la Tanzania è diventata un’ispettoria autonoma e questo dimostra la grande crescita delle missioni salesiane in questa parte del continente africano.»

Rolandi spiega che l’evangelizzazione in Africa nacque nel 1978 con uno slogan semplice ma efficace: “Don Bosco per l’Africa e l’Africa per don Bosco”.

«Il numero dei giovani all’epoca e anche oggi è impressionante», sottolinea, «quando sono arrivato in Kenya ci siamo dedicati principalmente all’educazione al lavoro con corsi di formazione della durata di tre anni che preparano a svolgere un impiego. È la realizzazione concreta, anche se non l’unica, dello stile di don Bosco per l’Africa. Io ho iniziato la missione a Embu, nell’Est del Kenya, dove c’è una scuola secondaria, e poi ho vissuto tanti anni nella capitale, a Nairobi, nella casa di formazione che prepara gli studenti di Teologia. In questi paesi siamo presenti anche con le parrocchie, gli oratori, i centri giovanili, case che accolgono ragazzi di strada come quelli che arrivano dai villaggi rurali, mentre nel Nord del Kenya, a Kakuma, siamo gli unici che hanno il permesso di vivere nel campo profughi che è uno dei più grandi del mondo, che è arrivato a toccare oltre 200mila presenze, e accoglie rifugiati congolesi, ruandesi, sud sudanesi e somali».

Oggi sono 134 i Paesi nei cinque continenti dove i figli e le figlie di don Bosco, partiti da Torino, hanno portato il suo carisma.

La Onlus Missioni Don Bosco è attiva con oltre quattromila centri tra scuole, istituti di formazione professionale, università e porta aiuto concreto negli Stati più poveri e nelle situazioni estreme.

Ieri come oggi, l’educazione è cosa di cuore e sottolinea perfettamente il carisma di don Bosco e dei salesiani.

 

“Missione è…” – Vocabolario Missionario 2023

I giovani della nostra Ispettoria partiti lo scorso agosto per un’esperienza missionaria a Makuyu (Kenya) e Palabek (Uganda), hanno realizzato una serie di mini-video dal tema “Missione è…” per raccontare attraverso una parola o una breve frase l’esperienza vissuta.

“Amore” | Irene Ponzo – Missione Makuyu, Kenya

 

“Condividere” | Don Marco Cazzato – Missione Makuyu, Kenya

 

“Donarsi” | Michela Ponzo – Missione Makuyu, Kenya

 

“Don Bosco” | Don Matteo Rupil – Missione Makuyu, Kenya

 

“Dono” | Luisa Fissore – Missione Makuyu, Kenya

 

“Dono” | Luca Scavino – Missione Palabek, Uganda

 

“Essenzialità” | Don Giò Bianco – Missione Palabek, Uganda

 

“Esserci” | Giorgio Conte SDB – Missione Makuyu, Kenya

 

“Fare Spazio” | Marianna Califano – Missione Palabek, Uganda

 

“Grazia” | Giulia Meucci – Missione Makuyu, Kenya

 

“Messa a fuoco” | Alessandro Cutrupi – Missione Palabek, Uganda

 

“Mettersi in discussione” | Elena Inversi – Missione Makuyu, Kenya

 

“Sfida” | Gabriele Lupino – Missione Makuyu, Kenya

 

“Sguardo” | Erica Rao – Missione Palabek, Uganda

 

“Stare” | Alessandro Ponzo – Missione Makuyu, Kenya

 

“Terra” | Elena Riberi – Missione Palabek, Uganda

 

“Toccare con mano” | Mira Garelli – Missione Makuyu, Kenya

 

“Una Mano tesa” | Silvia Mandina – Missione Palabek, Uganda

 

“Unione” | Chiara Galli – Missione Palabek, Uganda

 

“Volto” | Alessio Moretto SDB – Missione Palabek, Uganda

 

Il progetto si inserisce all’interno del Vocabolario Missionario, iniziativa che raccoglie le testimonianze dei partiti in missione che, a partire da una parola, cercano di spiegare come l’esperienza lascia il segno e va in profondità nel cuore delle persone, tanto da arrivare a modificare il valore ed il significato di termini che prima sembravano comuni.

Il “miracolo” del salesiano Riccardo Racca in Sierra Leone – La Fedeltà

Si pubblica di seguito l’articolo dedicato al missionario Riccardo Racca, apparso su “La Fedeltà“.

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Il “miracolo” del salesiano Riccardo Racca in Sierra Leone

Originario di Piasco, già allievo della scuola di formazione professionale di Fossano, ha attivato nella provincia di Cuneo un’ampia rete di collaborazioni

 

Un nuovo modo di essere missionari? I Cuneesi, sempre aperti all’innovazione, trasmettono questa attitudine anche a chi lascia la provincia per cercare altrove la sua vocazione. Che sia uno specialista che raggiunge le grandi città, un investitore che pensa alla grande, un viaggiatore che inventa un mestiere, il DNA contadino genera continuamente capacità di adattamento e ricerca di efficienza.

Così anche un salesiano nato a Piasco, e formato a Fossano, ha assunto dalla sua terra uno spirito “imprenditoriale” che torna molto utile nella sua missione in Africa: prima in Nigeria, poi in Ghana, adesso in Sierra Leone.

È Riccardo Racca, classe 1954, che incontriamo per un tuffo nel suo passato di ragazzino cresciuto fra il negozio di alimentari e rosticceria dei genitori e il cortile della parrocchia, passando per la scuola elementare e le marachelle con i compagni di gioco. Di tanto in tanto fa una esplorazione di questo suo retroterra per pescare soluzioni alle idee che nascono oggi a Bo, una cittadina immersa in un’area che definire agricola non si può ancora dal momento che produce al massimo cibo per la sopravvivenza delle famiglie che la abitano.

Mentre compie la missione da figlio di don Bosco, partecipando alla gestione della scuola professionale e dell’oratorio, va a visitare i giovani in cella senza processo e mancanti di qualsiasi accompagnamento educativo. Ogni tanto avviene un “miracolo”, come quello di un ragazzo privo di una gamba, che è riuscito a far curare ottenendo i permessi di uscita dal carcere, superando la ritrosia determinata dalla rassegnazione. Ora, scontata la pena, è libero di muoversi e di affrontare la vita prendendo in mano il suo destino.

Il di più dello sguardo penetrante del contadino ha portato fratel Riccardo Racca ad approfondire le possibilità di valorizzare una pianta utilizzata dalla popolazione locale per scopi alimentari. È la moringa, chiamata anche “albero del ravanello”, fino a 7 metri in altezza di generosa sfruttabilità. Le radici sono commestibili, le foglie sono gustose, i teneri baccelli possono entrare in un piatto di insalata, i semi regalano un olio usato anche per la cosmesi. Quel che è importante è che le sue proprietà possono essere una risposta ai bisogni alimentari di vaste comunità: le vitamine, le proteine, il calcio, gli antiossidanti che la moringa contiene sono additivi preziosi, anche attraverso l’essiccazione delle foglie che le rende durevoli, diventando condimento o basi di tisane.

Questa pianta è stata indicata come “super alimento” nel 2022 grazie anche all’attività promozionale che fratel Riccardo ha avviato da qualche anno. Ha messo a frutto i suoi ritorni periodici in Italia e in Europa per documentarsi, per considerare le possibilità di coltivazione estensiva in Sierra Leone, per prendere contatti con esperti e potenziali acquirenti della polvere di moringa.

Il sogno infatti è quello che i contadini di Bo, attualmente un gruppo di una ventina di famiglie raccolte in cooperativa sotto l’egida della missione, possa produrre e trattare il prodotto anche per l’esportazione: questo commercio diventerebbe così un primo passo verso la auto-sostenibilità della presenza salesiana. Da questa potrebbero aggiungersi risorse a quelle che già oggi numerosi benefattori affidano a Missioni Don Bosco per difendere i minori più fragili: domani si intravede il potenziamento della scuola professionale, dei servizi socio-educativi, della formazione dei nuovi salesiani per dare futuro alla congregazione in Sierra Leone.

Nei suoi ritorni periodici, Riccardo Racca ritrova a Piasco la sorella, che costituisce l’ancoraggio familiare e il sostegno spirituale un tempo dato anche dai genitori, a Fossano i nuovi membri dell’opera salesiana e i suoi compagni di studio divenuti professionisti. Trova lì le risorse per coltivare (è il caso di dirlo) il suo sogno che cammina – come faceva il Santo fondatore – con i piedi per terra. L’associazione piemontese degli ex allievi delle scuole salesiane ha sposato con entusiasmo questo progetto. Il “miracolo” sarà il primo container che invece di partire dall’Italia per portare aiuti si riempirà a Bo per esportare moringa in varie forme.

E’ stata una meravigliosa avventura: il ricordo di don Italo e don Vincenzo

Nella serata di domenica 24 gennaio, l’Animazione Missionaria ICP ha dedicato un incontro online in memoria di Don Italo Spagnolo e Don Vincenzo Marrone, entrambi sacerdoti salesiani missionari mancati nell’ultimo periodo. Due uomini, due sacerdoti, due confratelli salesiani fioriti in terra africana, che sono stati padri, maestri e amici per tantissimi giovani che in loro hanno incontrato don Bosco.

“Quando avviene che un salesiano muore lavorando per le anime, la congregazione ha riportato un grande trionfo”

(C. 54)

Di seguito il video completo dell’incontro sulla testimonianza cristiana e salesiana di Don Italo Spagnolo e Don Vincenzo Marrone, condotto da don Fabio Mamino e don Theophilus Ehioghilen.

E’ stata una meravigliosa avventura: ricordando don Italo e don Vincenzo, fra memoria e speranza

Don Italo Spagnolo e Don Vincenzo Marrone: due uomini, due sacerdoti, due confratelli salesiani fioriti in terra africana, che sono stati padri, maestri e amici per tantissimi giovani che in loro hanno incontrato don Bosco. L’Animazione Missionaria dell’Ispettoria propone un momento di memoria a loro dedicato per domenica 24 gennaio, rivolto a tutti i confratelli salesiani. Di seguito la comunicazione dell’iniziativa:

“Quando avviene che un salesiano muore lavorando per le anime, la congregazione ha riportato un grande trionfo”

(C. 54)

Come dice bene questo articolo della nostra costituzione, la morte di un salesiano è un’ occasione di grande celebrazione. È passato poco più di un mese da quando don Italo Spagnolo e don Vincenzo Marrone ci hanno lasciati, dopo quasi quarant’anni di una vita donata fino all’ultimo respiro nella terra di missione in Africa. Due uomini, due sacerdoti, due confratelli fioriti in terra africana, che sono stati padri, maestri e amici per tantissimi giovani che in loro hanno incontrato don Bosco.
Vogliamo fare memoria della loro vita e, tramite le testimonianza di coloro che li hanno conosciuti, cogliere la loro eredità per rilanciarci con gioia e speranza in un rinnovato impegno missionario qui ed ora.
Vi invitiamo a seguirci il 24 gennaio alle 21.00 sulla pagina del sito ispettoriale dedicata alle dirette.

L’Equipe di Animazione Missionaria