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Buonanotte Missionaria Maggio 2023 – Riccardo Racca, salesiano coadiutore

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

Per questo mese di maggio, Riccardo Racca condivide con noi la sua esperienza presso il carcere minorile di Bo City, in Sierra Leone.

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Cari Confratelli e Giovani amici,

vi scrivo da BO City in Sierra Leone augurando a tutti un buon mese di maggio, mese mariano, mese della piena primavera, mese in cui sono nato, … insomma, un mese semplicemente eccezionale, e da vivere in modo eccezionale alla luce di Maria Ausiliatrice.

Desidero condividere con voi brevemente una esperienza vissuta lo scorso anno durante il servizio che la mia comunità presta ai carcerati del riformatorio giovanile locale.

Mustaphà è un giovanottone poco più che ventenne, 185 cm con un fisico da body-builder, sempre sorridente e contento quando lo incontro nella prigione. Una persona ancora molto giovane ma già segnata dalla vita. Non vi sto a raccontare come sia finito dentro. Qui puoi prenderti 5 anni per aver rubato un telefonino. Ma voglio dirvi di un’altra disavventura che gli è capitata e per la quale dovrà portarne le conseguenze per tutta la vita. Mustaphà deambula con le stampelle perché la sua gamba destra gli è stata amputata 10 o 12 cm sotto il ginocchio circa 8 anni fa quand’era forse tredicenne.

– Cosa hai combinato per esserti ridotto così?, gli chiedo.

– Ricky, era il 2014, durante il periodo dell’Ebola, io avevo trovato il fucile che mio zio aveva comprato durante la guerra civile, la spietata guerra fratricida dei diamanti per intenderci, e con alcuni miei coetanei, sempre in cerca di avventure, volevamo di rimetterlo in funzione. Purtroppo ci siamo riusciti e … un proiettile mi è entrato nella gamba. Andare all’ospedale durante l’epidemia Ebola voleva dire restarci, era come andare a morire ancora più in fretta e così sono stato curato in casa con medicine e stregoni locali fino a che la gamba invece di guarire si è deteriorata, stava andando in cancrena e … questo che vedi è il risultato dopo molti mesi di sofferenza!

Durante i giorni seguenti non riuscivo a togliermi Mustaphà dalla testa e la Provvidenza si è fatta presente un giorno che ero in ospedale per un ciclo di fisioterapia. Dopo la seduta, il mio medico mi ha chiesto se avevo 10 minuti per visitare il reparto adiacente di Ortopedia, specificatamente il laboratorio di costruzione protesi. Ma cosa vuoi di più dalla vita, Ricky!! Come il cacio sui maccheroni!!!

Torno a casa e ne parlo in Comunità che mi da tutto l’appoggio necessario. A farla breve dopo una settimana, ottenuti tutti i dovuti permessi legali della struttura penitenziaria, mi son portato Mustaphà nel laboratorio protesi ortopediche per la prima “misurazione” e rilevazione dei vari parametri dimensionali. Se la memoria non mi tradisce dopo meno di tre settimane Mustaphà è entrato in reparto con le stampelle e ne è uscito camminando sulle sue gambe.

La gioia quel giorno si poteva proprio toccare, quasi palpare! Mustaphà era quasi incredulo di poter abbandonare le stampelle, l’equipe di medici e tecnici di laboratorio erano orgogliosi ed ammirati per la confidenza e coraggio che il paziente dimostrava nella deambulazione, le due guardie carcerarie e l’incaricato principale del progetto prigioni del Don Bosco erano vistosamente contenti, e il sottoscritto … beh! vi lascio immaginare!

Un mattino di due settimane più tardi mi informano che qualcuno cercava di me in portineria. Scendo e mi trovo davanti ad un raggiante Mustaphà che aveva anche ottenuto la libertà dalla prigione.

Sì, era nella prima settimana del mese di Maggio. Un caso?

Personalmente non credo sia solo un caso. La nostra buona e potente Mamma Ausiliatrice interviene anche prima che glielo chiediamo, e anche per i suoi figli mussulmani come Mustaphà.

Buon Mese di Maggio e Buona Festa di Maria Ausiliatrice a tutti voi. (Buona Notte)
Riccardo Racca sdb-da-Bo

Buonanotte Missionaria Aprile 2023 – Don Felice Molino, Sdb

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

Per questo mese di aprile, don Felice Molino condivide con noi un aggiornamento sulle attività Salesiane in Kenya.

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Cari amici e confratelli,

sono contento di rivolgermi a voi anche se ormai, vivendo il mio 42º anno diKenya, non ho la fortuna di conoscere tanti di voi. Difficile parlare a ruota libera. Chiedo allo Spirito Santo, alla Madonna e a Don Bosco di guidare un po’ i miei pensieri confusi.

Il Kenya sta vivendo un momento molto difficile perché sta venendo sempre più a galla un malcontento generale nella gente che vive una povertà sempre più grande che spesso diventa miseria. Adesso ci sono rivolte programmate dal capo dell’opposizione ogni lunedì e ogni giovedì. I negozi rimangono chiusi, le fabbriche lavorano a metà ritmo, polizia ed esercito sono sguinzagliati in tutto il paese perché la rivolta avviene in tutte le città più importanti del Kenya. Così il Kenya si impoverisce ulteriormente. Il capo dell’opposizione, che incita alla rivolta, porta a motivo l’altissimo rincaro dei prezzi e poi il fatto che secondo lui, nelle elezioni dello scorso anno, era lui il vincitore. Quest’ultima è la vera ragione della sua protesta. Tutti i leaders politici lavorano per uno scopo solo: la loro ricchezza ed il loro potere. Nel frattempo il presidente eletto, guarda caso, non si trova in Kenya, ma prima in Germania e adesso in Belgio. Non mi meraviglierei che fosse là non solo per gli interessi del Paese, ma soprattutto per acquistare azioni nelle grandi aziende Europee ed esportare le ricchezze che ha accumulato in Kenya. In questo, non farebbe altro che imitare il suo predecessore che ha investito le sue ricchezze in molte aziende francesi, come Carrefour, e ha venduto ai francesi, restando però l’azionista più grosso, quasi tutte le aziende che fanno riferimento al latte e ai suoi derivati di cui, in Kenya, lui detiene il monopolio.

Tutto questo avviene con la complicità e la gioia grandissima di tantissimi paesi del mondo che guardano all’Africa come alla più grande risorsa per il loro benessere. I capi di governo africani, con la compiacenza di tantissimi capi di governo del mondo, stanno vendendo non l’Africa, che rimane dov’è, ma gli africani che stanno diventando più schiavi di prima.

Cosa fare? Per noi Salesiani non resta altro che imitare Don Bosco. Don Bosco, i giovani poveri non li accoglieva, ma andava a cercarli. È quello che dobbiamo fare noi in questo momento con gli oratori, le scuole e i centri professionali, nonché con le numerose parrocchie che ci vengono affidate. Ma in tutto questo dobbiamo sempre vincere la tentazione di fare dei centri per la élite, sia pure intellettuali. Il rischio grande e di aiutare quelli che sono già aiutati dalla natura o quelli che non hanno affatto bisogno del nostro aiuto, dato che fanno parte della classe media o addirittura ricca.

Don Bosco in Africaè un vero miracolo. In quarant’anni ha conquistato 44 paesi dell’Africa con un dispiegamento (come diceva Don Egidio Viganò nel 1985, intravvedendo il futuro) di una enorme quantità di denaro, tutto dovuto alla Provvidenza; di un numero grandissimo di generosi volontari e di un grande numero di Salesiani che hanno creduto in questo progetto e da tutto il mondo sono arrivati in Africa. Oggi Don Bosco Tech Africa, l’organizzazione salesiana che riunisce tutti i centri professionali salesiani dell’Africa, può presentarsi alle organizzazioni mondiali con oltre 100 centri professionali altamente qualificati, se si considera l’attuale situazione dell’Africa. Il numero dei Salesiani locali è cresciuto grandemente in Africa e, dal prossimo settembre, la Tanzania, che faceva parte della nostra Ispettoria, diventerà Ispettoriaa sé. È una consolazione grande perché dice che Don Bosco lavora con impegno e seriamente in Africa. Al momento, abbiamo 17 pre-novizi in Kenya e 7 in Sudan. Con molta probabilità ad agosto avremo più di 20 novizi.

Non mi soffermo a parlarvi delle realtà veramente interessanti e molto vive della Tanzania e del Sudan in cui non ho mai lavorato.

Vi parlo del Kenya che ora conta 11 opere con una continua richiesta da parte dei vescovi di aprirne di nuove… e diverse opere sono in prospettiva di apertura. Abbiamo ben sette centri professionali con 3500 allievi nel campo profughi di Kakuma, nel nord del Kenya, che conta circa 500.000 rifugiati. I 7 centri sono coordinati da una sola casa salesiana che si prende pure cura dell’unica parrocchia del campo, con numerosi centri di preghiera. Un dispiego di energie e di forze totalmente dedicato ai più poveri, scappati soprattutto dal Sudan e dagli altri paesi africani confinanti. La massa delle persone del campo è costituita da bambini e giovani. Ci sarebbe lavoro per 100 Salesiani.

A Nairobi abbiamo cinque opere che svolgono un’attività grandemente apprezzata dalla gente. Certamente molto significativa è l’opera dei ragazzi di strada, con circa 400 ragazzi di cui 200 interni e 200, ragazzi e ragazze, che vengono a scuola ogni giorno dalla vicina baraccopoli di Kuinda.

Abbiamo motivo di essere soddisfatti? Se amiamo i giovani con il cuore di Don Bosco, allora abbiamo ancora tantissimo da fare: siamo solo agli inizi.

In Kenya c’è una disparità sociale che grida vendetta al cospetto di Dio. Il quotidiano on-line Africa Express poche settimane fa dava la notizia che in Kenya quattro famiglie detengono la ricchezza di 22 milioni di kenyoti: vuol dire che 22 milioni di persone vivono di miseria e sofferenza per mantenere la ricchezza e il lusso di quattro famiglie.

Solo qualche fatto, tra i tantissimi. Con l’aiuto di tanti benefattori italiani ho potuto far operare una mamma cieca che da cinque anni avrebbe dovuto ricevere un intervento al nervo ottico che si era paralizzato in seguito ad un incidente stradale. Non avendo i soldi neppure per una visita medica, non avevano mai fatto nulla. È una mamma di 38 anni, con tre figli e senza marito. Sono arrivato a lei attraverso la figlia minore che viveva sulla strada a Nairobi, entrata in una miseria infinita, per scappare da una miseria insopportabile.

Il costo dell’intervento, che ha poi richiesto un secondo intervento, è stato di 6000 Euro. Una cifra che questa donna non vedrà mai in tutta la sua vita. Adesso lei incomincia a vedere un po’, almeno da un occhio e la figlia che era sulla strada è tornata a casa. La figlia maggiore che faceva la prostituta per mantenere la famiglia e ha un bambino di tre anni, da lei concepito a 14 anni, mi ha promesso che cerca un lavoro. Il figlio è stato accolto tra i nostri ragazzi di strada. Vedere la miseria e l’abbandono della loro baracca, appoggiata ad una infinità di altre baracche, è qualche cosa di realmente straziante.

È evidente che questi sono i giovani a cui dobbiamo indirizzarci ed è un’impresa colossale che solo Don Bosco può portare avanti: noi non possiamo essere altro che il fazzoletto nelle sue mani; ci scoraggeremmo subito di fronte ad una impresa così difficile.

Ho mandato a studiare dalle nostre suore, che lavorano in una baraccopoli di Nairobi, una ragazza madre con due bambini: uno di 11 anni e l’altro di un anno e nove mesi. Il più grande è stato accolto nel centro Don Bosco per i nostri ragazzi di strada, perché sulla strada viveva in realtà ogni giorno. Questa giovane mamma l’avevo fatta operare al cuore quando aveva solo 10 anni e si trovava ormai in fin di vita. È figlia di due poverissimi genitori, separati.In ospedale non facevano nulla perché tanto i genitori erano poveri e non potevano pagare e lei era destinata a morire nel giro di tre settimane. Quando sei povero, qui non vali niente e la tua vita può essere buttata via in qualsiasi momento perché tanto non sei nessuno. Adesso lei, a scuola dalle nostre suore, è contenta di imparare l’arte della cucina per potersi inserire in un lavoro che le permetta di mantenere i suoi due figli. Ho affittato una baracca di lamiera per lei ed il suo bambino. 3 metri per 3. 25 euro di affitto al mese. Un materasso. Un fornellino a gas a una piastra sola, 2 pentolini, un cucchiaio ed un piatto solo perché lei ed il bambino mangiano “assieme”. Quattro giorni fa le avevo dato 40 €. Venti li ha dovuti mandare subito al suo papà che è ammalato. Adesso le rimangono 5 Euro e con questi deve sopravvivere per altri tre giorni. Mi ha detto che il suo bambino le costa “tanto”: 0,80 € il giorno… A lei ed ai suoi bambini dovremo pensare finché non potrà inserirsi nel mondo del lavoro.

Vi potrei raccontare centinaia di storie come queste soprattutto da quando, vivendo a Nairobi, entro frequentemente nella baraccopoli più grande di Nairobi insieme ad un gruppo di giovani. Vediamo una sofferenza inimmaginabile e cerchiamo di risolvere alcuni casi in un mare di abbandono e di emarginazione.

Sento tutti i giorni il bisogno di chiedere a Don Bosco che mi faccia crescere in passione ed in fedeltà alla nostra missione che è per i giovani poveri ed abbandonati.

Chiedo l’aiuto della vostra preghiera per tutti i salesiani che qui lavorano, per tutti i giovani che sono nelle nostre opere, per la massa della nostra gente che vive in miseria e per i pochi ricchi che vivono nell’indifferenza, perché il Signore faccia capire loro che devono smettere di rubare e devono cominciare a restituire.

Grazie di cuore a tutti voi per la vostra pazienza nell’ascoltare questo messaggio.
D. Felice

Buonanotte Missionaria Marzo 2023 – Don Hoan Phan, Sdb

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

Per questo mese di marzo, condivide con noi la storia della sua vocazione e la sua esperienza in Vietnam don Hoan Phan. Originario  del Vietnam, risiede attualmente nella comunità Maria Ausiliatrice di Valdocco per l’animazione dei luoghi salesiani.

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Mi chiamo Hoan Phan, confratello salesiano sacerdote. Da 5 mesi mi trovo nella casa salesiana di Valdocco. Sono molto contento dell’opportunità di vivere nella Casa Madre salesiana e ho già potuto sperimentare la gioia di vivere qui il primo Natale, il primo capodanno e anche la prima festa di don Bosco. Vivo questa nuova esperienza come un ulteriore dono che il Signore, Maria Ausiliatrice e don Bosco hanno voluto fare alla mia vita. Nasce nel mio cuore un grande sentimento di gioia e gratitudine che vorrei condividere con voi in queste poche righe.
Sono originario del Vietnam. È un paese a forma si “S”, poco più grande dell’Italia in quanto a superficie (331.690 km2), con una popolazione di più di un terzo maggiore (98.5 milioni). Confina a nord con la Cina, a ovest con il Laos, a sud-ovest con la Cambogia e a est e sud è bagnato dal mare orientale. Gran parte del territorio è formato da montagne e altipiani, ma vi sono anche due zone pianeggianti: a nord quella formata dal Fiume Rosso; a sud quella formata dal delta del fiume Mekong.
Dicevo che il Vietnam è un paese a forma di “S”. Sono molto affezionato alla lettera “S” perché era presente ai piedi dell’altare della cappella del nostro noviziato. Il mio maestro (l’incaricato della formazione dei novizi) ci spiegava che il significato di quel segno fosse la “S” di Salesiani di don Bosco, la “S” di Salute, la “S” di Santità e anche la “S” di Sacrificio. E di sacrifici i Salesiani di don Bosco in Vietnam ne hanno fatti molti. Quest’anno festeggiamo i 70 anni di presenza in Vietnam, da quando il 10 marzo 1952 è arrivato il primo Salesiano don Andrej Majcen, missionario dalla Slovenia. La provincia del Vietnam ora raccoglie quasi tutte province e le città del Vietnam con due delegazioni, Mongolia e Nord Vietnam. In tutto ci sono 41 case salesiane. A partire dall’evento storico del settantesimo della presenza salesiana in Vietnam emerge l’evidenza della forza del sangue dei martiri vietnamiti e degli instancabili sacrifici di 45 missionari provenienti da 7 diversi paesi: oggi abbiamo una provincia composta da 354 confratelli, insieme a 113 confratelli inviati come missionari ad gentes.
La mia vocazione salesiano è meravigliosa. Da piccolo, ho vissuto in una parrocchia diocesana lontana dalle case salesiane del paese e non ho fatto esperienza dell’ambiente salesiano. La provvidenza di Dio mi ha fatto conoscere il carisma salesiano prima attraverso un libretto di Domenico Savio, capitatomi fortuitamente fra le mani, e poi attraverso l’incontro con un salesiano sacerdote venuto ad aiutare nella mia parrocchia per un anno. È lui che mi ha indicato il convitto universitario salesiano dove ho vissuto gli anni degli studi universitari. Finita l’università sentivo che il carisma salesiano era parte della mia vita. Così sono entrato in prenoviziato nel 2005 e, con gran gioia e felicità, sono diventato Salesiano nel 2007.
Sono stato ordinato sacerdote nel 2017 e sono felice di condividere con voi i miei primi cinque anni di vita da salesiano prete. Dopo essere stato ordinato sacerdote nel 2017, ho lavorato per 3 anni presso la comunità salesiana di Ho Chi Minh (ex-Saigon), la città più popolosa del Vietnam, situata nella parte meridionale del paese sulla sponda occidentale del fiume Saigon. Nel primo anno mi sono occupato del centro giovanile, delle classi analfabete dei ragazzi poveri della strada e dell’accompagnamento vocazionale. Due anni dopo, ho avuto l’opportunità di lavorare nella scuola professionale dell’ospitalità di Andrej Majcen. Successivamente, il superiore provinciale mi ha trasferito alla Delegazione del Nord Vietnam, con la responsabilità del centro giovanile e degli studenti. Per tutti e cinque gli anni da sacerdote ho lavorato nel settore della comunicazione e l’anno scorso, prima di venire qui a Torino, ho assunto l’incarico di delegato della comunicazione della Delegazione del Nord Vietnam.
Prima di salutarvi, vorrei chiederVi una preghiera per la famiglia salesiana Vietnamita e, in particolare anche per me, chiamato ora a prestare il mio servizio a Valdocco. Con l’intercessione di Maria Ausiliatrice e di don Bosco, chiedo le benedizioni di Dio per tutti noi e per le attività della nostra Casa Madre.

Carissimi e carissime, buona serata!

Hoan Phan, sdb

Buonanotte Missionaria Febbraio 2023 – Don Adolphe-Marie Akpoué, Sdb

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

Per questo mese di febbraio, l’esperienza di Don Adolphe-Marie Akpoué, originario del Benin, missionario per 15 anni in Togo e ora chiamato a Valdocco, nella Comunità “Maria Ausiliatrice” a servizio dell’animazione dei luoghi salesiani. Un esempio di vocazione salesiana e devozione ai giovani.

 

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Cari confratelli e cari amici,

Sono don Adolphe-Marie Akpoué, salesiano di Don Bosco dal 16 agosto 1988. Originario del Benin, ho prestato il mio servizio per 15 anni in Togo e ora, chiamato dal Superiore, mi trovo dal 30 agosto 2022 a Valdocco, culla del carisma salesiano nella Comunità “Maria Ausiliatrice” per continuare a vivere con gioia e passione la mia vocazione salesiana. È una grazia.

La mia buona notte verterà sulla mia vocazione salesiana e sulla mia esperienza missionaria in Togo. La condivido con fiducia e ringrazio l’equipe di Animazione Missionaria di questa opportunità.

 

La vocazione salesiana

Innanzitutto devo dire che ho avuto fin da bambino il desiderio di andare al seminario minore per diventare sacerdote, ma i miei genitori si opposero. Sono allora cresciuto con l’idea di essere un buon cristiano, facendo un matrimonio religioso prima di vivere con mia moglie e avere figli. Già quest’idea è stata fortemente osteggiata dal contesto socio-culturale, ma in fondo non ho mai smarrito il desiderio di diventare sacerdote.

Nel 1983, mia madre, per motivi di lavoro, fu assegnata a Comé, dove i Salesiani erano già arrivati dall’ispettoria di Bilbao dal 1980 in seguito all’appello del “Progetto-Africa” lanciato da don Viganò. Avevo allora diciassette anni. Essendo già militante di Azione Cattolica per l’Infanzia, mi sono presentato in parrocchia ai missionari spagnoli (non sapevo che fossero salesiani, e non me l’avevano mai detto neanche loro) per continuare il mio impegno apostolico. Sono stato ben accolto dal missionario che si occupa dei giovani. Lui mi ha incoraggiato a continuare a vivere il mio impegno apostolico nella casa di Comé. È stato vivendo questo servizio e vedendo il loro esempio e la loro costante presenza tra i giovani della parrocchia, che mi è tornata in mente l’idea della totale consacrazione al Signore.

Sentivo forte in me il desiderio di donarmi totalmente a Dio. L’aggettivo “totale” è forse quello che meglio descrive il mio desiderio di diventare sacerdote. Ciò nonostante però, allo stesso tempo, stavo valutando altre carriere per la difesa dei diritti dei più poveri (avvocato, lotta alla corruzione, tassista dopo il diploma di maturità per difendere dal di dentro i diritti degli autisti vittime di continui soprusi). “Essere onesto? Tu sei matto.. ti uccideranno” – mi dicevano. Ogni tanto a casa i miei genitori mi dicevano: “Come ti comporti? Cosa fai? Guarda che non vogliamo che tu un domani faccia il prete”. Quando li sentivo parlare così, riuscivo solo a sorridere, ma nel mio cuore una voce mi diceva che le altre carriere che stavo considerando erano interessanti, ma che ero chiamato a dare tutta la mia vita al Signore.

Un giorno, senza dire nulla a casa e spinto da una forza interiore, sono andato in parrocchia e ho comunicato a padre Juan Carlos Ingunza la mia intenzione di diventare sacerdote e di fare come loro (non conoscevo la parola “salesiano”). Mi ha chiesto cosa intendessi dire con “fare come loro”. Allora gli ho detto: “quando diventerò sacerdote, mi prenderò cura dei bambini e dei giovani come fate voi”. E lui mi ha detto “cioè diventare salesiano, entrare nella nostra Congregazione”. “Allora posso entrare nella vostra congregazione?”, chiesi.  “Sì, visto che dici di voler fare come noi prendendoti cura dei bambini e dei giovani”. “In questo caso, come diventare salesiano?”. Allora padre Juan mi ha spiegato la specificità della vita religiosa richiamando specialmente la mia attenzione sulle implicazioni del voto di povertà che i sacerdoti diocesani non fanno. Mi ha fatto capire la radicalità di vita che comporta la mia scelta. Gli ho detto che era esattamente così che intendevo vivere la mia vocazione.

Tornato a casa, ho informato mia madre di ciò che temeva: “Vado a farmi prete e mi unisco alla congregazione dei missionari che sono in parrocchia, cioè vado a fare il salesiano”. Questa notizia fu accolta dalla mia famiglia come una pugnalata alle spalle. “Ma ti abbiamo detto di no”, disse mia madre. “Mamma, è quello che sento e non ho resistito alla voce che ho sentito e mi ha fatto andare a dirlo ai missionari”.

C’era una forte opposizione alla mia scelta. Diversi membri della famiglia e conoscenti, informati della cosa, hanno cercato di dissuadermi. Mi è stato persino offerto di diventare sacerdote diocesano, pur di non essere salesiano. Ho insistito e ho tenuto duro. Mia madre trovava difficile sopportare che andassi via di casa. Ha pianto quel giorno. Ho iniziato il cammino a Parakou (Benin), poi a Lomé (Togo) e il 16 agosto 1988 ho emesso la mia prima professione religiosa cui è seguita nel 1995 quella perpetua.

Essendo aspirante al sacerdozio, ho studiato Teologia a Lubumbashi (Repubblica Democratica del Congo) e il 2 agosto 1997 sono stato ordinato sacerdote insieme ad altri due salesiani beninesi. Abbiamo aperto la strada ad altri giovani per seguire Cristo sulle orme di Don Bosco.

 

Missionare in Togo nell’ex Provincia dell’Africa occidentale francofona

Innanzitutto devo dire che ho avuto fin da bambino il desiderio di andare al seminario minore per diventare sacerdote, ma i miei genitori si opposero. Sono allora cresciuto con l’idea di essere un buon cristiano, facendo un matrimonio religioso prima di vivere con mia moglie e avere figli. Già quest’idea è stata fortemente osteggiata dal contesto socio-culturale, ma in fondo non ho mai smarrito il desiderio di diventare sacerdote.

Nel 1983, mia madre, per motivi di lavoro, fu assegnata a Comé, dove i Salesiani erano già arrivati dall’ispettoria di Bilbao dal 1980 in seguito all’appello del “Progetto-Africa” lanciato da don Viganò. Avevo allora diciassette anni. Essendo già militante di Azione Cattolica per l’Infanzia, mi sono presentato in parrocchia ai missionari spagnoli (non sapevo che fossero salesiani, e non me l’avevano mai detto neanche loro) per continuare il mio impegno apostolico. Sono stato ben accolto dal missionario che si occupa dei giovani. Lui mi ha incoraggiato a continuare a vivere il mio impegno apostolico nella casa di Comé. È stato vivendo questo servizio e vedendo il loro esempio e la loro costante presenza tra i giovani della parrocchia, che mi è tornata in mente l’idea della totale consacrazione al Signore.

Sentivo forte in me il desiderio di donarmi totalmente a Dio. L’aggettivo “totale” è forse quello che meglio descrive il mio desiderio di diventare sacerdote. Ciò nonostante però, allo stesso tempo, stavo valutando altre carriere per la difesa dei diritti dei più poveri (avvocato, lotta alla corruzione, tassista dopo il diploma di maturità per difendere dal di dentro i diritti degli autisti vittime di continui soprusi). “Essere onesto? Tu sei matto.. ti uccideranno” – mi dicevano. Ogni tanto a casa i miei genitori mi dicevano: “Come ti comporti? Cosa fai? Guarda che non vogliamo che tu un domani faccia il prete”. Quando li sentivo parlare così, riuscivo solo a sorridere, ma nel mio cuore una voce mi diceva che le altre carriere che stavo considerando erano interessanti, ma che ero chiamato a dare tutta la mia vita al Signore.

Un giorno, senza dire nulla a casa e spinto da una forza interiore, sono andato in parrocchia e ho comunicato a padre Juan Carlos Ingunza la mia intenzione di diventare sacerdote e di fare come loro (non conoscevo la parola “salesiano”). Mi ha chiesto cosa intendessi dire con “fare come loro”. Allora gli ho detto: “quando diventerò sacerdote, mi prenderò cura dei bambini e dei giovani come fate voi”. E lui mi ha detto “cioè diventare salesiano, entrare nella nostra Congregazione”. “Allora posso entrare nella vostra congregazione?”, chiesi.  “Sì, visto che dici di voler fare come noi prendendoti cura dei bambini e dei giovani”. “In questo caso, come diventare salesiano?”. Allora padre Juan mi ha spiegato la specificità della vita religiosa richiamando specialmente la mia attenzione sulle implicazioni del voto di povertà che i sacerdoti diocesani non fanno. Mi ha fatto capire la radicalità di vita che comporta la mia scelta. Gli ho detto che era esattamente così che intendevo vivere la mia vocazione.

Tornato a casa, ho informato mia madre di ciò che temeva: “Vado a farmi prete e mi unisco alla congregazione dei missionari che sono in parrocchia, cioè vado a fare il salesiano”. Questa notizia fu accolta dalla mia famiglia come una pugnalata alle spalle. “Ma ti abbiamo detto di no”, disse mia madre. “Mamma, è quello che sento e non ho resistito alla voce che ho sentito e mi ha fatto andare a dirlo ai missionari”.

C’era una forte opposizione alla mia scelta. Diversi membri della famiglia e conoscenti, informati della cosa, hanno cercato di dissuadermi. Mi è stato persino offerto di diventare sacerdote diocesano, pur di non essere salesiano. Ho insistito e ho tenuto duro. Mia madre trovava difficile sopportare che andassi via di casa. Ha pianto quel giorno. Ho iniziato il cammino a Parakou (Benin), poi a Lomé (Togo) e il 16 agosto 1988 ho emesso la mia prima professione religiosa cui è seguita nel 1995 quella perpetua.

Essendo aspirante al sacerdozio, ho studiato Teologia a Lubumbashi (Repubblica Democratica del Congo) e il 2 agosto 1997 sono stato ordinato sacerdote insieme ad altri due salesiani beninesi. Abbiamo aperto la strada ad altri giovani per seguire Cristo sulle orme di Don Bosco.

 

Buonanotte Missionaria Dicembre 2022 – Giacomo Comino

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

Per questo mese di dicembre, l’esperienza di Giacomo Comino, coadiutore salesiano missionario da oltre 50 anni, prima in Corea e poi in Sudan dove vive. Un buon esempio missionario di speranza e fiducia in Dio anche nelle situazioni più difficili.

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Sono Giacomo Comino, ma ormai quasi tutti mi chiamano Jim, e sono un salesiano coadiutore, missionario da oltre 50 anni. Da più di 25 anni lavoro in Sudan a stretto contatto con la popolazione martoriata dalla guerra civile. In questo contesto così complesso stiamo portando avanti un progetto molto impegnativo, eppure sono un uomo pieno di speranza, colmo di fiducia nella Provvidenza di Dio

La mia vocazione salesiana come coadiutore è nata che avevo 16 anni, quando il mio catechista mi chiese: “Cosa farai il prossimo anno, ora che hai finito la scuola superiore?” Gli risposi titubante che avrei voluto diventare salesiano, ma non ne ero sicuro… Lui allora mi disse: “Vai al noviziato, il Signore ti ispirerà!”. Avevo solo 17 anni quando diventai salesiano.
Finito i corsi di formazione salesiana e tecnica, il catechista mi chiese: “Cosa farai il prossimo anno? Perché non fai domanda per andare in missione?” Io non ci avevo mai pensato seriamente, ma feci la domanda per le missioni. Dopo due mesi, il superiore delle missioni mi manda a chiamare e mi dice: “Stiamo iniziando una nuova missione in Corea e andrai in Corea”.
Avevo solo 21 anni quando arrivai in Corea. Mi impegnai da subito con i ragazzi dell’oratorio e loro furono l’aiuto più prezioso per imparare la lingua e ambientarmi in questa nuova missione. La Corea fu il mio primo amore.
Dopo 30 anni di vita missionaria, il superiore delle missioni mi chiese di andare per 2-3 anni in Sudan dove stavano iniziando una nuova missione. Arrivato, la prima cosa che feci, fu visitare il campo profughi. Rimasi scioccato da questa esperienza e dopo tre anni, quando potevo di nuovo finalmente tornare in Corea, che ancora portavo nel cuore, mi sono detto: “La Corea ormai va avanti da sola, mentre qui in Sudan manca tutto, la gente muore di fame e di malattie. “Cara Madonna, starò in Sudan finché tu vorrai…ma mi devi aiutare altrimenti me ne vado…”. Sono passati più di 25 anni, ho passato dei momenti difficili, ma la Madonna mi è sempre stata accanto… si vede che il Signore vuole che lavori ancora per i bambini più poveri.”

Come accennavo all’inizio, fino al 2011 il Sudan è stato straziato da una feroce guerra civile tra il nord in prevalenza musulmano e il sud cristiano. I 22 anni di conflitti hanno portato a 2 milioni di morti, soprattutto del sud, e 4 milioni di profughi. Nel nord noi salesiani ci siamo occupati dei profughi, cercando di dare un’educazione ai più giovani. Con il tempo però la situazione generale non è migliorata: prima c’era speranza, oggi la gente è disorientata e anche noi missionari ci chiediamo: “che cosa è capitato?”. La gente vive male, con difficoltà economiche; mancano tutte le infrastrutture, non c’è sviluppo in campo agricolo, né medico… “I’m hungry”, “ho fame”, “non ho mangiato nulla”. Si accontentano anche di un pezzo di pane o di un biscotto che condividono con i loro amici.

Un’altra sfida pressante è quella educativa. Il 70% dei bambini non va a scuola. Oltre all’istruzione fondamentale, il nostro compito è quello di educare questi ragazzi alla pace, perché qui come in Kenya, dove la scuola tecnica Don Bosco di Marsabit risulta essere l’unica scuola professionale in grado di aiutare i ragazzi cristiani e musulmani a imparare un mestiere e costruire un futuro migliore, le lotte tribali sacrificano ancora ogni giorno vite innocenti, anche di bambini. Spieghiamo loro che non basta cantare e pregare per ore durante la messa. Se non perdonano anche i loro nemici non sono cristiani, perché Gesù ha perdonato chi l’aveva messo in croce.

Negli ultimi mesi la situazione si è aggravata perché è da oltre sei mesi che non piove. La scarsità d’acqua è gravissima: a perire non sono solo gli animali, ma in diversi comuni sono morte anche delle persone.
Abbiamo chiesto ai nostri studenti di unirsi a noi nella preghiera affidandoci a Maria per poter trovare acqua. Lei ci ha assistito. Dopo 500 metri di scavo di un pozzo, quando ormai le speranze stavano per svanire, la Madonna ha fatto il miracolo: abbiamo trovato acqua abbondante e potabile. L’abbiamo chiamata “Acqua miracolosa della Madonna”.

Nelle fatiche quotidiane noi salesiani ci siamo sempre affidati a Maria Ausiliatrice. Soprattutto chi opera a stretto contatto con i giovani non deve mai perdere la speranza e la fiducia in Dio, perché lui è sempre con noi

Pregate per noi, come noi preghiamo per voi, perché la preghiera è la prima forma di comunione e vicinanza.

Giacomo Comino

Buonanotte Missionaria Novembre 2022 – Paolo Vaschetto

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

La buonanotte missionaria di questo mese è condivisa dal sig. Paolo Vaschetto, originario dell’oratorio di Bra, missionario in Nigeria e Ghana dal 2001 al 2018 e rientrato a Roma per proseguire i suoi studi a servizio della Congregazione salesiana.

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Due idee sulle missioni

Mi chiamo Paolo Vaschetto e sono un salesiano coadiutore. Ho 53 anni e, al momento, sto conseguendo un Dottorato in Storia della Chiesa all’Università Gregoriana in Roma. Uno studente “un po’ maturo”, con un buon traguardo a portata di mano che mi permette di riqualificarmi e di ripensare in un’altra ottica la mia esperienza pastorale in terra di missione.

Sono stato in terra di missione e precisamente in Nigeria e Ghana dal 2001 al 2018. La mia disponibilità missionaria non è stato frutto di un fulmine a ciel sereno, ma di una riflessione portata avanti nei primi anni di formazione, di un’entusiasmo per la missione che mi sono sempre portato dietro, di una curiosità e voglia di stupirmi e di meravigliarmi che mi è propria… ho affiancato al lavoro in oratorio il servizio dell’amministrazione economica delle case in cui ero, ad Akure in Nigeria (2001-2006) e a Sunyani in Ghana (2006-2011). Quando sono stato assegnato alla casa di post-noviziato a Ibadan in Nigeria (2011-2018) ho aggiunto ai miei “soliti” incarichi anche l’insegnamento di alcune materie nell’ambito della storia e pedagogia salesiana e un progetto di recupero per ragazzi di strada.

Vorrei condividere con voi uno stralcio delle memorie che sto scrivendo quando sono ispirato e libero da altri impegni. Questo è un resoconto del primo impatto con la Nigeria (ottobre 2001). Spero si colgano tanti sentimenti contrapposti che facciano sorridere ma anche pensare…

“Non ricordo problemi particolari di visto nel primo viaggio, ma dal ritiro dei bagagli in poi potrei fare una cronaca minuto per minuto. Il ricordo si fa vivo dall’apertura della porta per uscire dall’aeroporto, una sensazione di tuffo nel vuoto che è indimenticabile. Nell’aeroporto la temperatura era simile a quella dell’aereo e non avevo riscontrato differenze, ma giunto a quella porta, ebbene sì, la differenza era enorme. Una “ventata” mi era arrivata come un assaggio da un passeggero che mi precedeva e per qualche secondo ero rimasto interdetto. È questo il caldo che si respira fuori? Riuscirò a trascinarmi i miei quaranta chili di bagaglio in quell’atmosfera surriscaldata? Quando poi la porta si apre e mi butto fuori tutto diventa vorticoso.

Una marea di persone mi circonda, con un fare non so se minaccioso o di benvenuto, cercando di contendersi il mio bagaglio che difendo a spada tratta. Altri, vedendomi con le mani impegnate sulle maniglie, mi sventolano sotto il naso mazzette incredibili e mai viste prima di soldi nigeriani (naira) e di dollari urlandomi nelle orecchie frasi poco intellegibili ma che contengono parole tipo “Dola”, “Cheng” “Yello”… ma dov’ero capitato? Dopo alcuni attimi probabilmente brevi, ma che mi erano sembrati eterni, vedo un uomo barbuto con una tonaca bianca che si avvicina con fare minaccioso e che si impone su tutti. Era don Matteo che mi aveva individuato in mezzo a quella folla e che mi mostrava subito come ci si deve comportare in una situazione del genere. La migliore difesa è l’attacco, anche perché, da un Europeo, è una reazione che prende in contropiede, fa scattare l’ilarità e quella che prima sembrava una situazione tesa diventa piacevole per tutti, anche per chi si sentiva a disagio.

In un attimo rimaniamo soli, io e don Matteo (che in quel caso si era comportato più da Terence Hill…). Con calma ci avviciniamo a un veicolo mai provato prima e che mi avrebbe accompagnato per migliaia di chilometri, il mitico pick-up diesel, un po’ trattore agricolo e un po’ carrarmato. Anche la tonaca bianca da missionario viene accantonata (scoprirò che in certi frangenti era una specie di lasciapassare) e sudando sette camicie ci buttiamo nel mezzo del traffico serale diretti ad una misteriosa Victoria Island di cui sinceramente non avevo mai sentito parlare prima.

Don Matteo aveva uno stile di guida inusuale, almeno secondo i miei standard precedenti, ma tra incidenti sfiorati all’ultimo istante, pulmini stracarichi all’inverosimile di cose e persone, buio pesto, fumo acre, rumori assordanti di motori e vociare di persone arriviamo nella casa accogliente di una famiglia italiana. Mai avrei pensato che quel primo shock sarebbe poi diventato ordinaria amministrazione. Vivere in Nigeria, me ne sarei reso conto abbastanza presto, è vivere pericolosamente, ma dopo la grande corsa o avventura si approda sempre a un porto sicuro. La gente si prende cura di te, in semplicità si condivide quello che si ha e ci si prepara per il giorno dopo. Lo stereotipo della gazzella e del leone l’ho provato su di me… e tanto stereotipo non è…”

Un altro racconto che mi piace condividere è quello della magia di tre anni (2015-2018) passati nell’ideare, cercare i fondi per e infine costruire e impostare un progetto per ragazzi di strada. Ho ereditato quest’idea prendendomi cura di una dozzina di ragazzi che, presi dalla strada e alloggiati in casa d’affitto, seguivamo nei loro studi e nella loro crescita umana e professionale (di quel gruppo, ormai ragazzi quasi di 30 anni, abbiamo avuto buoni risultati: qualcuno ha messo su famiglia e quasi tutti fanno un lavoro onesto).

Il mio dubbio era: nel post-noviziato non ci starebbe bene una casa con ragazzi di strada? Non sarebbe più significativo per i giovani confratelli studiare con accanto a sé i veri ragazzi poveri e abbandonati? La Provvidenza ha assistito abbondantemente questo sogno e in meno di due anni abbiamo costruito una casa che può accogliere fino a 40 ragazzi con un programma serio di recupero e di reinserimento in famiglie che possano accompagnare una crescita equilibrata di questi giovani in difficoltà. Quando ho lasciato il progetto in buone mani nell’ottobre del 2018, erano già 15 i ragazzi che, “rimessi a posto”, erano tornati in famiglia dopo almeno un anno con noi… la storia continua e il bene non si ferma! E ora, a cosa mi chiama l’obbedienza?

Con il Dottorato in Storia della Chiesa e con un “focus” speciale sulla storia di don Bosco mi metto a disposizione della Congregazione per un lavoro più di riflessione che di attività frenetica e un po’ logorante sul fronte della Missione. Non potevo più permettermi certi ritmi di lavoro e ho avuto la possibilità di tornare su una delle mie passioni che non ho mai abbandonato, cioè la Storia, soprattutto l’insegnamento.

Con la grande esperienza che ho vissuto spero di fare una sintesi di studio che non sia astratta e vaga, ma significativa perché intrisa di passione e di esperienze concrete….

Non è e non sarà facile: devo proprio affidarmi al vostro ricordo nella preghiera perché questo sogno si possa realizzare in pieno!

Paolo Vaschetto

Buonanotte Missionaria Ottobre 2022 – Cosimo Cossu

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

Per questo mese di ottobre, l’esperienza di Cosimo Cossu, coadiutore salesiano missionario per 20 anni in Ecuador, dove ha potuto condividere gli ultimi tre anni della vita di suor Maria Troncatti, poi destinato per 26 anni come guida delle catacombe a Roma e ora a Torino con la comunità generalizia. Un esempio prezioso di slancio missionario vissuto con ardore dove lo Spirito conduce.

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Un caro saluto a ciascuno,

sono Cosimo Cossu, salesiano coadiutore. Ho 83 anni e da giovane ho studiato presso i salesiani di Cumiana. Affascinato dalla vita salesiana, dopo il noviziato a Monte Oliveto, ho fatto la mia prima professione religiosa nella basilica di Maria Ausiliatrice nel 1959. Sentivo fortemente di ricevere un dono non meritato, perché venivo da un paesino sperduto dalla Sardegna a studiare in Piemonte e questa era già una grazia superiore a tutte le mie aspettative.

Durante gli anni di magistero, matura in me il pensiero della vocazione missionaria. Nel novembre 1962 sono partito da Genova per l’Equador dove per 20 anni ho prestato il mio servizio come buon salesiano (o almeno ci provavo), assistente, insegnante di materie tecniche… Tuttavia, dopo tre anni di insegnamento, dissi all’allora ispettore sardo dell’Equador, don Aurelio Pischedda: “mi avete fatto venire qui per fare l’insegnante, cosa che potevo fare anche in Italia.. io voglio andare nella foresta, con i veri missionari”. Lui mi rispose: “Volentieri!” Destinazione Sucua, in piena foresta. Se uno avesse voluto andarci a cavallo o a piedi, da Cuenca, dove ero, ci sarebbero voluti 8 giorni, ma da qualche anno, forse 6 o 7, c’era un ponte aereo che collegava le nostre missioni nella selva con le comunità delle Ande.

Non è merito mio se a Sucua, con un internato di Shuar di 150 ragazzi e 170 ragazze interne ebbi la grazia di vivere per tre anni indimenticabili con la beata Maria Troncatti.

Nelle missioni, per portare avanti un internato così consistente, i ragazzi e le ragazze frequentavano la scuola la mattina e, dal lunedì al venerdì, lavoravano nella selva da dove, con molta facilità (nella foresta la natura è veramente benevola con chi la sa coltivare), si riusciva ad avere l’alimento necessario per il buon funzionamento delle nostre missioni.

Il sabato e la domenica erano giornate molto particolari. Ore sul fiume con i ragazzi piene di giochi (sarebbe un po’ come portare oggi i nostri allo stadio). Al pomeriggio, tutti insieme, ragazzi e ragazzi, si guardava le famose “filmine don Bosco”, col Vangelo della domenica e le storie di avventura che l’EDC di Madrid ci faceva avere. Nella cappella, tutti insieme, salesiani, FMA, ragazzi e ragazze, si faceva le prove di canto, si cantavano i vespri, poi la benedizione eucaristica e la famosa buonanotte che non mancava mai. Come potete vedere, una vita molto semplice, dal nostro punto di vista, ma per un ragazzo o una ragazza Shuar, che non aveva mai visto la luce elettrica (avevamo un generatore), vivere in comunità con tanti amici e amiche, imparare a coltivare la terra, senza bruciare gli alberi, era una cosa fuori dal comune. Lì imparavano inoltre l’allevamento del bestiame, una fonte di guadagno a bassissimo costo per loro.

Tutto questo sfociava, dopo 4 o 5 anni di internato nel matrimonio, durante il quale, nelle possibilità, si offrivano ai futuri sposi due vitelline e un vitello per iniziare una vita matrimoniale. Nello stesso tempo le ragazze avevano imparato a cucinare, a lavare, a cucire, ad avere cura di sé stesse e anche della futura famiglia. Questo avveniva in tutte le nostre missioni. Ogni missione aveva dai 200 ai 400 ettari di foresta con 100-200-250 capi di bestiame. Questa era la fonte di ricchezza che permetteva di comprare ai ragazzi e alle ragazze vestiti, scarpe, quaderni, libri, sapone e via discorrendo.

La cosa bella che ho potuto vivere è la possibilità di stare in una comunità di 5 confratelli (spagnoli, slovacchi, italiani) e convivere molto da vicino con la comunità delle FMA. Praticamente eravamo una sola grande famiglia. Il mio rapporto con suor Maria Troncatti, da subito, non è stato solo fraterno, ma filiale. Lei era la nostra “nonnina” (abuelita). Ed io per lei ero il “mio Cosmito” (mio Cosimino).

Forse sarò un po’ lungo, ma questo ve lo devo raccontare: Sucua aveva sì e no 300 coloni bianchi, che vivevano all’interno del paesino, mentre gli Shuar erano disseminati nella foresta. Un grande problema si creò quando gli Shuar iniziarono ad abbattere la foresta per seminare prato. I bianchi, ansiosi di guadagni illeciti, iniziarono a speculare sui terreni riuscendo a comprare ettari di pascoli e foresta in cambio anche solo di un fucile.

Padre Juan Shutka, rendendosi conto di questa situazione, riuscì a ottenere dal presidente della repubblica la firma di un decreto ministeriale nel quale si proibiva agli Shuar di vendere terreno ai bianchi. Restava invece la possibilità di venderselo fra di loro. Era la fine della cuccagna! Soluzione per i bianchi? UCCIDERE I PRETI!

Allora i salesiani vivevano tutti in un unico palazzone di tre piani tutto in legno, con un’unica scala di accesso, mentre i ragazzi Shuar, insieme a me, loro assistente, eravamo in un’altra zona. Nel luglio del 1969, circa alle 2:30 del mattino, l’unica scala di accesso viene cosparsa di benzina. L’intento era chiaro: “Questa notte ti faccio vedere come si arrostiscono i preti”.

Una cosa che forse non sapete però della razza Shuar è che hanno la vescica piccola e che quindi, durante la notte, è un continuo viavai per andare in bagno. Questa è stata la salvezza dei miei confratelli. Uno dei ragazzi che tornava dal bagno si accorge del fuoco: “Cosmia, Cosmia – grida – Fuoco!! Fuoco!!”.

È stata una cosa così violenta che, per salvarsi, i confratelli si sono dovuti buttare da un’altezza di 4 metri. Non è morto nessuno, ma in 40 minuti tutto era bruciato. Pensate che il direttore, ancora vivente, mons. Pietro Gabrielli, per la furia delle fiamme, è dovuto fuggire in pigiama, lasciando addirittura i soldi perché non c’era il tempo per fare altro che fuggire.

Il paese di Sucua si è stretto intorno a noi, ragazzi e ragazze, suore… tutti atterriti a contemplare questo spettacolo crudele. Siamo rimasti senza parole, solo tante lacrime.

La mattina, alle 6, un centinaio di Shuar, armati fino ai denti, chiedono al padre Shutka: “A che ora iniziamo a uccidere i bianchi?”. Pensate: era per loro solo questione di ore. Per farli desistere c’è voluta tutta la sapienza che lo Spirito Santo ha potuto inculcare nel cuore di padre Shutka. L’odio era palpabile.

È in questo momento che suor Maria Troncatti torna in un’altra nostra missione, a Macas, dove aveva lavorato per anni e dove si trova il santuario mariano più antico di tutto l’oriente ecuadoriano. Suor Maria non si accorge che anche la direttrice di Macas era entrata fermandosi a poca distanza da lei e così riesce ad ascoltare la supplica di suor Maria alla Madonna: “se per pacificare i bianchi e gli Shuar, hai bisogno di una vittima, prendi me”.

Un mese dopo, deve andare agli esercizi a Quito. Aveva 86 anni e cercò di manifestare i suoi disagi alla direttrice dicendo che può fare gli esercizi anche in casa: le gambe non la reggono, la spesa eccessiva, la fatica,… La direttrice si servì di me per convincerla. Così lei, con due altre suore, finiscono per imbarcarsi su un aereo erroneamente sovraccarico. L’aereo decolla, ma non si alza più di 15 metri dalla pista. Non riesce a prendere quota. Per non sbattere con un’ala contro una palma, fa l’ultima manovra spericolata e si schianta al suolo. I sedili dei passeggeri sono sbalzati fuori e suor Maria Troncatti muore sul colpo. La vittima è stata accettata. Oggi la veneriamo sugli altari.

Dopo 20 anni di missione sono rientrato a Torino e l’ispettore, don Colombo, mi dice: “A Roma, alle catacombe, hanno urgente bisogno di guide spagnole. Vai a dare una mano per un po’, poi vediamo”. È così che sono rimasto 24 anni a San Callisto, la mia seconda missione. Lì ho potuto essere missionario per persone provenienti da tutto il mondo.

Cinque anni fa sono stato operato di maculopatia e l’allora ispettore della romana, don Leonardo Mancini, mi propose di andare alle Camerette di don Bosco a Roma. Quando i confratelli dalla Pisana chiesero il trasferimento al Sacro Cuore, dopo un anno in cui ero rimasto lì con la comunità della parrocchia, il rettor maggiore mi disse: “Tu sei dei nostri, ricordalo!”. Così oggi sono a Torino per via della ristrutturazione del Sacro Cuore e anche qui faccio la guida come posso. E la missione continua…

Un saluto e una preghiera per ognuno di voi da parte di Cosimo e ringrazio l’equipe di Animazione Missionaria ispettoriale di questa bellissima opportunità che mi dà per arrivare al cuore di ciascuno di voi della mia ispettoria di origine. Evviva don Bosco!

Cosimo Cossu

Buonanotte Missionaria Settembre 2022 – Virgilio Radici

La Buonanotte Missionaria: un’esperienza concreta in terra di missione per riflettere!

Per questo mese di settembre, l’esperienza di Virgilio Radici, missionario da 32 anni, prima in Kenia e poi in Tanzania. Una buona occasione per ravvivare la nostra passione missionaria.

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Un saluto a tutti coloro che ascoltano questa breve buonanotte salesiana.

Il mio nome è Virgilio Radici, sono nato a Bariano in provincia di Bergamo. Sono ora uno fuori
dal “comune”… Vivo infatti ad Iringa in Tanzania.

Sono un Salesiano Coadiutore. Ho fatto la mia prima Professione Religiosa al Colle Don Bosco (Asti) il 29-11-1969.

Da Bariano sono andato al Colle Don Bosco per le scuole Medie nel 1964. Non ho scelto io, ma mia mamma che sapeva dei salesiani perché è stata exallieva delle suore di Maria Ausiliatrice a Legnano (Mi). Eccettuato l’anno di Noviziato a Monte Oliveto nel 1968 tutti gli altri anni li ho passati al Colle Don Bosco, prima come allievo e poi come salesiano. Nel 1990 sono partito per l’Africa, prima 9 anni in Kenya e poi dal 1999 ad Iringa.

Al mio primo incontro con i Salesiani al Colle ho notato una cosa che mi ha subito attratto: la cordialità e la gentilezza di tratto. Sono subito rimasto attratto da questo. Concluse le scuole Medie, ho scelto di continuare al Colle per la Scuola Professionale con indirizzo di arte grafica. Dopo il primo anno di Scuola Grafica il Direttore, don Antonio Mason, di cara memoria, mi chiese se volevo entrare in Noviziato. Mi ricordo come fosse ora che risposi subito di sì. Quando mi chiese se volevo essere sacerdote gli risposi che mi piaceva essere Coadiutore, come ce n’erano tanti al Colle (più o meno erano una quarantina ed i sacerdoti una ventina). Mi attraeva il loro modo gentile e la capacità di stare con noi giovani.

In Noviziato sono stato tre mesi in più (da agosto 1968 a novembre 1969) per aspettare di aver compiuto i 16 anni allora richiesti dal Diritto Canonico. Nel 1972 il Canone innalzò a 18 anni di età l’anno della prima Professione. Io dico sempre che dopo aver visto me…, era meglio cambiare l’età di ingresso nella vita religiosa.

A comunicare della vocazione ai miei genitori furono gli stessi Salesiani del Colle. Prima di andare in Noviziato, infatti, un Coadiutore ed un Sacerdote mi portarono a casa in macchina. C’era a casa solo mia mamma. Mio papà era in ospedale per un incidente sul lavoro a Milano (era muratore). Il giorno dopo sono andato con mia mamma a trovare papà a Milano in ospedale. Alla notizia del mio prossimo ingresso in Noviziato, mio papà rimase in silenzio per un po’. Poi disse: “Se pensi che questa sia la volontà di Dio, fai pure”. Mia mamma è mancata a 57 anni nel 1979. Mio papà visse ancora per altri 20 anni, fino al 1999. Mi hanno sempre voluto bene ed aiutato in tutto.

Perché sono partito in missione? Come ho detto, per il Colle non ho scelto io, ma mia mamma, così anche per le missioni non ho scelto io, ma il mio Ispettore di allora, don Angelo Viganò. Era l’anno 1990. Ero al Colle a insegnare ai tipografi compositori e venni chiamato al telefono. Era l’Ispettore che da Roma (era al Capitolo Generale) mi chiamava dicendomi se volevo andare in Kenya per installare una tipografia. Io risposi che per fare questo era necessario conoscere anche tutti gli altri settori del mestiere tipografico (litografia, fotoriproduzione, stamperia e legatoria), che io non conoscevo praticamente (solo teoricamente). Lui mi disse di pensarci ed al suo ritorno ne avremmo parlato.

Venne al Colle il primo di aprile dello stesso anno e mi disse di andare per due mesi e mezzo a Makuyu e studiare un po’ di lingua Inglese e conoscere il posto. Il primo aprile è proprio un giorno “speciale”, fa gli “scherzi”. Ma so anche che ricorda la nascita di mamma Margherita. Ricordando la sua Obbedienza, ho scelto di fare l’Obbedienza. Ora sono contento.
Partii il 4 luglio 1990 per Makuyu e ritornai il 15 settembre dello stesso anno. Parlai nuovamente con l’Ispettore presentandogli un miniprogetto della costruzione del capannone tipografico e mi diede la conferma per il ritorno in missione. Prima andai a Malta (gennaio-giugno 1991) per approfondire la lingua Inglese ed il 4 settembre 1991 eccomi nuovamente a Makuyu in Kenya.

Mi sono trovato, da subito, bene. Come carattere le persone sono molto cordiali. Mi si avvicinavano con gentilezza e salutavano cordialmente e con il sorriso bello aperto.

In un primo tempo mi sono adattato a fare un po’ di tutto. Non esisteva la tipografia e quindi ho iniziato con il lavoro nei campi, la raccolta del granturco con gli allievi del corso della Scuola Professionale. Dal piombo e carta della tipografia al lavoro con la terra…

Dopo poco iniziarono i lavori di costruzione della nuova tipografia con una ditta di Nairobi e nel 1993, le prime stampe con l’aiuto del generoso Coadiutore Salesiano Bertocchi Alessandro che, dalla tipografia Vaticana, venne a Makuyu. Molto fu l’aiuto datomi, all’inizio, anche dal Salesiano sacerdote don Gianni Uboldi che attualmente si trova in Uganda. Lui era l’economo della casa e conosceva bene la lingua Inglese e quella locale Kikuyu. I contatti con le ditte e con l’estero erano sempre suoi. Senza il suo aiuto non sarei riuscito nell’intento.

Attualmente mi trovo ad Iringa, in Tanzania. Si trova a circa 1600 m s.l.m. Il clima è sempre mite…, non fa caldo e non fa freddo. La temperatura si abbassa a 9 gradi Centigradi in
maggio-luglio, ma durante il giorno arriva a 20-22. Non c’è mai la neve o il ghiaccio.

La comunità salesiana di don Bosco, in cui vivo, è composta dal Direttore sacerdote dell’India (ora cittadino della Tanzania), da due sacerdoti, uno dall’India ed uno dalla Tanzania, da un salesiano laico del Kenya e dal sottoscritto.

Abbiamo una parrocchia, con la chiesa principale dedicata a Maria Assunta e due chiesette succursali in villaggi vicini ed una Scuola Professionale con 300 giovani (ragazzi e ragazze) che imparano un mestiere da loro scelto (sartoria, falegnameria, motomeccanica, tipografia, muratori, elettricisti, saldatori e computer). Questi fanno un corso che dura tre anni. Abbiamo poi un altro corso breve, della durata di sei mesi, con circa 700 giovani. In questo corso breve insegniamo anche idraulica ed installazione di pannelli solari. Tutti gli insegnanti sono locali.Io sono incaricato della tipografia. Vengono tutti molto volentieri. Don Bosco aiutava il giovane ad inserirsi nella società in modo da vivere da onesto cittadino e da buon cristiano. Dando loro un mestiere in mano, possono aiutare i loro familiari e se stessi in modo da poter uscire dalla povertà e per qualcuno anche dalla miseria in cui vivono.

In questi giorni sono in Italia per visitare i parenti. Da ottobre, al mio ritorno, la nuova obbedienza mi porterà al Noviziato di Morogoro, Tanzania. Ci sono ora 20 Novizi. Il Signore possa accompagnare questa nuova tappa di cammino.

Ho ancora un sogno. Da giovane mi ricordo di aver pregato il Signore, durante un corso di Esercizi Spirituali di aiutarmi per la commissione che lui intendeva darmi da fare. Era per me ancora un “sogno” la vita. Ora sogno di poter essere sempre pronto per questa commissione. Sogno di essere contento dove mi trovo per poter far felici gli altri. Nella loro felicità sta anche la mia. Ma non sono sempre riuscito nell’intento.

Mi permetto di raccontare solo un piccolo episodio. Oltre alla mia normale routine di lavoro in tipografia, ero solito aiutare i bambini nel fare loro qualche medicazione. Questo abitualmente lo facevo dopo il lavoro e quindi nel tardo pomeriggio quando i bambini e giovani venivano per passare il tempo nell’oratorio da noi. Era però un periodo in cui mi trovavo in difficoltà circa i rapporti con le persone adulte. Da una settimana, infatti, parlavo poco; non salutavo e sorridevo più a nessuno. Ecco allora, una notte, che mi si presenta questo sogno. Stavo aspettando che i miei operai uscissero tutti dal laboratorio e nel mentre mi si avvicina una bambina tutta zoppicante. La raggiungo e vedendo la sua difficoltà a camminare, la prendo in braccio. Avrà avuto circa 6-7 anni e non l’avevo mai vista prima d’ora. La porto nel mio ufficio e la depongo a sedere sul tavolo di lavoro. Mentre mi chino, per medicare la ferita sanguinante che aveva sotto il piedino, lei mi suggerisce all’orecchio una frase nella sua lingua, in Swahili: «Bradha, usisahau kutabasamu» (Fratello, non dimenticarti di sorridere). Rimasi colpito da questa sua frase e le chiesi: «Per favore, dimmi qual è il tuo nome». Lei mi rispose: «Mimi ni Bikira Maria» (Io sono la Vergine Maria). Sentita questa risposta, fui preso da grande agitazione e mi svegliai. Inutile dire quanto ripresi a sorridere e salutare nuovamente le persone che incontravo.

Maria Bambina mi ha fatto comprendere, o almeno questo è quello che cerco di interpretare,
che si risolvono i problemi più con il sorriso che con mutismi e facce tristi.

Un caro saluto e un buon cammino a ciascuno

Virgilio Radici