Carissimi confratelli e giovani in don Bosco,
mi chiamo Andrea Comino e sono un salesiano coadiutore missionario. Sono originario del Monregalese e sono perito elettronico, e poi insegnante, praticamente da quando l’elettronica era ancora un mistero per i più. Sono partito per la prima esperienza missionaria in Asia negli anni Settanta e poi sono stato destinato in Sudan per la costruzione di scuole professionali.
Di “miracoli” un missionario ne incontra più d’uno lungo la sua esperienza: a volte è la soluzione a un problema di sopravvivenza che giunge in extremis; a volte è il realizzarsi di quello che all’inizio appariva solamente un “sogno”. Per un uomo che ha 81 anni di vita, di cui 61 da salesiano coadiutore, 47 da missionario fra Asia e Africa, c’è stato certamente più di un momento in cui ciò che accadeva aveva il sapore dell’intervento provvidenziale di Dio Padre.
Uno dei miracoli che un missionario ha il dono di sperimentare è quello della progressiva comunione con il popolo a cui è destinato. Il primo scoglio è chiaramente la lingua.
La mia prima destinazione fuori dall’Italia (in particolare partivo dall’Istituto Agnelli di Torino dove ero entrato come docente nel 1961) furono le Filippine nel 1975. Lì, la popolazione, in barba alle occupazioni prima spagnola e poi statunitense, preferiva usare nei dialoghi correnti l’antico idioma locale, il tagalog invece dello spagnolo o dell’inglese. Si tratta di un idioma che ha una struttura lontana dalla nostra, essendo di ceppo austronesiano (Oceano Pacifico), diventato la base della lingua ufficiale del Paese con la Costituzione approvata nel 1973. Questo mi ha richiesto fin da subito uno grande sforzo di apertura e apprendimento, ma un lavoro necessario se si desidera entrare in relazione paritaria con le persone che si incontrano. È un miracolo che richiama la polilalia di Pentecoste, la capacità di parlare a ciascuno nella propria lingua dopo l’effusione dello Spirito Santo.
Nel 1992 sono stato destinato alla Cambogia, mentre il Paese stava faticosamente cercando un suo equilibrio dopo la sanguinosa guerra con il Vietnam e la follia dei Khmer Rossi capitanati dal folle Pol Pot. Anche qui siamo riusciti a integrarci molto bene nella cultura e, , come già in precedenza nelle Filippine, ci è stata chiesta la fondazione di diverse scuole professionali, poi cresciute fino a guadagnato un prestigio di rilievo nazionale come quella di Sihanoukville per i servizi turistici.
Fra il 1994 e il 1997 sono stato richiamato nelle Filippine per dare vita a una nuova scuola a San José, città frastagliata in 38 quartieri nell’isola di Mindoro.
Nel 1997 l’obbedienza mi ha portato in Nigeria, dove nei dieci anni precedenti si era costituita una feconda ramificazione della presenza salesiana negli stati di Anambra e di Ondo affidata alle ispettorie del Piemonte (Adriatica, Novarese e Subalpina). Anche in questo caso mi è stato chiesto di seguire la costruzione di alcune scuole professionali, ma la cosa più impegnativa è stata senza dubbio l’entrare nello specifico di una cultura tenendo conto dei difficili rapporti tra le diverse etnie presenti.
In Nigeria dovevo sostituire un confratello che si era ammalato, ma terminata questa supplenza non sono tornato a Manila. Fui chiamato a Khartoum, capitale del Sudan, paese a maggioranza islamica, per contribuire al passaggio dai comboniani ai salesiani di una scuola tecnica. Qui potei lavorare anche al fianco di mio fratello Giacomo, anche lui salesiano coadiutore partito missionario già da molti anni.
L’esperienza scolastica si intrecciò presto con le vicende belliche che interessavano il sud del Paese. Moltissimi giovani profughi raggiungevano Khartum per cercare sopravvivenza, mentre la scuola poteva accogliere solo il 10% delle domande di iscrizione. Si cercò allora di fondare una succursale scolastica, riuscendo, dopo varie vicissitudini a fondare una nuova presenza a al-Ubayyiḍ (El Obeid). Forse è troppo parlare di miracolo, ma sta di fatto che in sei mesi l’opera fu progettata e in un anno realizzata da maestranze affiatate. La presenza della Provvidenza fu fortissima.
Quest’esperienza fu utile a me e mio fratello per prepararci ad altre due sfide estreme: il territorio del Darfur, devastato dalla guerra, che doveva rinascere per dare un futuro ai più giovani e il Sud Sudan, resosi indipendente dal nord, che doveva ricostruirsi a partire dall’istruzione di base. In entrambi i casi la “formula” era la costruzione di scuole accoglienti per ragazzi e insegnanti. Anche in quel caso il “miracolo” poté compiersi grazie alla fiducia ormai conquistata fra i benefattori, che destinarono a progetti certo ambiziosi le loro offerte.
Dopo 21 anni trascorsi in Nord-Sudan (ad El.Obeid,600 Km. sud di Khartoum), l’Ispettore mi ha invitato a trasferirmi in Kenya. Dall’agosto 2022 fino ad oggi mi trovo in Kenya, precisamente a Karen, che dista una ventina di Km da Nairobi. Qui abbiamo una scuola professionale (chiamata “Boys Town”), per circa 400 ragazzi (200 sono interni). Offriamo corsi di: meccanica, elettrotecnica, meccanica d’auto, saldatura, falegnameria e sartoria (soprattutto per le ragazze). I corsi sono della durata di due anni e sei mesi di stage. Ovviamente terminati i corsi ci interessiamo per trovare un lavoro per ciascun allievo. I ragazzi “esterni” provengono in gran parte da famiglie povere per lo più agricole. I 200 ragazzi “interni” invece provengono da provincie distanti anche da 200 Km da Nairobi. Ciascuno paga una retta secondo le proprie possibilità e i laboratori, con la loro produzione, e i benefattori coprono il resto.
Il mio incarico peculiare in questa casa è quello di aggiornare i macchinari e di sostituire le attrezzature dei laboratori, ormai obsolete e spesso in cattive condizioni. La scuola non ha i fondi per questi lavori. Molto si sta facendo grazie al contributo dei benefattori e ad alcuni progetti avviate con qualche ONG (Organizzazione Non Governativa). Abbiamo già raggiunto dei risultati di eccellenza, ma molto resta ancora da fare.
Ringrazio il Signore per il dono della mia vita e della mia vocazione e prego affinché il Signore chiami ancora operai per la sua messe. Di lavoro ce n’è davvero tanto e tanti giovani aspettano di essere amati.
Vi auguro una buona notte.