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Un impegno concreto per l’Ucraina

L’Ispettoria Salesiana del Piemonte, Valle d’Aosta e Lituania, insieme con le altre Ispettorie d’Italia e con Salesiani per il Sociale, ha messo in campo una serie di iniziative per sostenere le comunità salesiane in Ucraina che vivono questo drammatico momento e quelle realtà italiane che daranno la disponibilità ad accogliere i profughi di quella terra.

Carissimi, il Tempo di Quaresima che oggi andiamo ad iniziare ci sollecita alla PREGHIERA, al DIGIUNO, e alla CARITA’. Sono tutti atteggiamenti adatti a spronarci per far emergere la nostra consapevolezza di fede di essere membra del Corpo di Cristo, che non possono rimanere indifferenti quando altre membra soffrono. Mentre dunque preghiamo e digiuniamo per la pace, suscitiamo in noi e negli altri la virtù della carità.
Buon cammino quaresimale!
Un abbraccio fraterno in Don Bosco

don Leonardo

 

RACCOLTA FONDI DA INVIARE IN UCRAINA

Conto corrente ispettoriale, dove indirizzare le offerte in denaro direttamente in Ucraina:
CIRCOSCRIZIONE “MARIA AUSILIATRICE” PIEMONTE E VALLE D’AOSTA
IBAN: IT80B0306909606100000115761
causale: Offerta per Ucraina

ACCOGLIENZA PROFUGHI IN ITALIA

Oltre all’invio di fondi un altro modo di aiutare i nostri fratelli ucraini è quello di accogliere i profughi (giovani e famiglie) e la CISI ha chiesto a Salesiani per il Sociale di coordinare tale attività.
Si tratta di dare la disponibilità per ospitare famiglie o giovani presso le nostre case o presso famiglie legate alle nostre opere.
Come vi immaginate, ospitare un profugo implica, oltre al vitto e all’alloggio, anche una disponibilità di tempo di accompagnamento e di attività che li facciano “sentire a casa”.
Salesiani per il Sociale, attraverso le donazioni sul conto corrente dedicato, offrirà un sostegno economico a coloro che ospiteranno.
Le donazioni per sostenere l’accoglienza dei profughi in Italia vanno intestate a:

SALESIANI PER IL SOCIALE
iban: IT59J0200803284000106277537
causale: Emergenza Ucraina

Salesiani per il Sociale è anche in contatto con il Viminale, la Farnesina e la rete del Terzo Settore per verificare le indicazioni operative e le possibilità di sostegno all’accoglienza.

Per favorire la permanenza dei profughi in Italia, si inizierà anche una campagna di raccolta abiti e beni di prima necessità che verranno stoccati presso i locali dell’Ispettoria e distribuiti secondo le necessità. Ovviamente ogni casa potrà attrezzarsi in modo autonomo e ciò che non verrà distribuito qui in Italia sarà destinato direttamente ai salesiani in Ucraina.

DISPONIBILITÀ ACCOGLIENZA PROFUGHI

Il coordinamento ispettoriale è in capo a Valentina Bellis (valentina.bellis@31gennaio.net) che potrà rispondere ad eventuali richieste di informazioni sul tema e raccogliere le disponibilità che dovranno contenere:
– casa che si rende disponibile all’accoglienza
– numero di posti disponibili
– tipologia di location (stanze in casa salesiana, appartamento, disponibilità di cucina ad uso anche indipendente… )
– eventuale possibilità di accogliere anche minori soli

Le disponibilità occorre segnalarle entro il 15 marzo.

Animazione Missionaria – Un capodanno alternativo presso il rifugio Massi di Oulx

Per concludere il vecchio anno ed iniziare al meglio il 2022, l’Animazione Missionaria ha proposto ai giovani di vivere la festa in maniera alternativa, facendo tesoro delle attività portate avanti dal Rifugio Massi di Oulx in merito all’accoglienza dei migranti. Di seguito l’esperienza vissuta dal gruppo di giovani che ha aderito, a cura di Sara Scrivo.

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Capodanno ad Oulx

Quest’anno, con il percorso di animazione missionaria “Nel cuore del mondo” abbiamo trascorso un Capodanno alternativo presso il rifugio Massi di Oulx che si occupa dell’accoglienza dei migranti appartenenti alla rotta balcanica e a quella africana. Si tratta di singoli e famiglie che tentano di attraversare il confine con la Francia e che spesso vengono respinti dalla gendarmerie francese. Ad Oulx, d’inverno, la temperatura scende anche di diversi gradi sotto lo zero e questo rende gli attraversamenti notturni sulle piste da sci o in alta montagna estremamente pericolosi. Di conseguenza, per i migranti, il rifugio Massi è, di fatto, l’unica possibilità per ottenere un pasto caldo ed evitare di dormire all’addiaccio.

Don Chiampo, parroco di Bussoleno e responsabile del rifugio, ci ha accolti presentandoci la struttura e le modalità di accoglienza dei migranti e ci ha ricordato l’importanza di restituire loro la dignità e di riconoscerli come persone evitando qualsiasi forma di pietismo. Inoltre, egli ha evidenziato come il concetto di “migrante” sia un concetto in continua evoluzione. Anche a livello etimologico è possibile individuare tale trasformazione: un tempo, infatti, si utilizzavano i termini “immigrato” ed “emigrato”, mentre attualmente si utilizza in maniera più generica il termine “migrante”. Anche questo cambiamento semantico è significativo perché va a sottolineare quanto l’azione del “migrare” sia diventata ormai una condizione costante, tanto da mettere da parte gli aspetti del “da dove” o del “verso dove” espressi dai due prefissi. In passato, inoltre, i migranti erano, quasi esclusivamente, migranti economici in cerca di nuove opportunità; al giorno d’oggi, invece, la maggior parte sono rifugiati politici o migranti forzati che fuggono da zone di guerra o da situazioni in cui i diritti umani non vengono rispettati. In futuro e, purtroppo, in un futuro non troppo lontano, conosceremo meglio anche la figura del migrante ambientale.

I migranti che passano per Oulx sono stati costretti a lasciar ogni cosa e a vendere tutto quello che possedevano nella speranza di trovare un posto migliore, un luogo sicuro dove poter crescere i propri figli. Tutti noi siamo rimasti molto colpiti dal coraggio e dalla determinazione di queste persone nel non avere un piano B e nel dover puntare tutto sul piano A. Noi, al contrario, siamo spesso così tanto insicuri nel formulare i nostri progetti da evitare di fare anche solo un passo senza prima avere garanzie di successo. Per loro invece il mettersi in viaggio non è un’opzione, una scelta tra le tante alternative; il più delle volte è una necessità dalla quale risulta impossibile tirarsi indietro.

Dopo aver ascoltato Don Chiampo, abbiamo dato una mano a pulire e riordinare i container e le stanze. Spostando i materassi abbiamo trovato alcuni oggetti che ci hanno fatto riflettere sul numero di persone passate in questo piccolo punto nevralgico e sulle loro storie: spazzolini, calzini, guanti, mascherine, omogeneizzati e appunti con percorsi, nomi di città, orari di treni e pullman diventano simboli concreti della sofferenza, delle paure e delle speranze di tutti i migranti che hanno trascorso anche solo una notte in questo luogo.

La sera abbiamo condiviso la cena chiacchierando con alcuni di loro e cercando di entrare un po’ nelle loro storie con quanta più delicatezza possibile. Qualcuno era contento di poter passare la serata con noi e di vivere qualche attimo di spensieratezza, altri ci chiedevano, più semplicemente, di condividere il loro silenzio. Come ha detto Don Chiampo, il “povero” è spesso una figura scomoda, una figura che ci infastidisce e ci richiede uno sforzo per uscire dal nostro egoismo, ma quando entriamo in contatto con la sua povertà contemporaneamente scopriamo anche quelle che sono le nostre povertà, ciò che nascondiamo alle altre persone e, spesso, anche a noi stessi. Solo mettendoci a servizio degli ultimi riusciamo davvero a riconoscerci come fortunati, a riordinare le priorità della nostra vita e ad incontrare in modo autentico Dio. Lo stesso Dio che continua a prendersi cura e ad accogliere le grida di questa umanità bella e fragile.

[Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò sé stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini. (Filippesi 2,6-7)]

Lo sguardo del “povero” allora, è uno sguardo profondo che ci smuove, ci interroga, che pretende un nostro intervento e che, un po’ come gli occhi dei protagonisti delle opere di Ungarelli (esposte a Valdocco), va a rimuovere quel velo di ipocrisia che ci accomuna un po’ tutti e che ci intrappola nell’inazione e nell’indifferenza e non ci permette di agire per la carità. Abbiamo dunque trascorso l’ultimo dell’anno mettendoci a servizio degli ultimi e cercando anche di riflettere sul modo in cui siamo abituati ad amare. Infatti, come ci ha ricordato Don Chiampo, ci sono motivazioni molto diverse che ci spingono ad amare:

“Ti amo perché mi ami,
ti amo perché ho bisogno di te
e ti amo perché voglio il tuo bene.
E tu che tipo di amore scegli?” (Don Chiampo).

È stato inoltre molto bello vedere che, nonostante fosse il 31 dicembre, i volontari erano tanti. La sera abbiamo festeggiato l’arrivo del nuovo anno insieme a due ragazzi volontari con i quali ci siamo sentiti immediatamente in sintonia. Condividere insieme quest’esperienza di servizio e riconoscerci come figli di Dio ci ha fatto sentire immediatamente fratelli, pronti a collaborare per il bene del prossimo.

Sara Scrivo

Progetto di accoglienza ai Sale di Cuneo: “Nessuno è straniero”

Proseguirà fino al 31 ottobre il progetto di accoglienza ai Sale di Cuneo come “sistema integrato” volto ad aiutare i  tanti migranti che arrivano in Cuneo e provincia come lavoratori stagionali. L’accoglienza ai Salesiani di Cuneo vede oggi coinvolti otto braccianti agricoli. Di seguito un resoconto dell’esperienza, a cura di Luisa Fissore.

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La storia del progetto di accoglienza ai Sale di Cuneo di otto braccianti agricoli è una storia fatta di cuore, testa, fede e volontà. I protagonisti sono loro, questi otto “ragazzi” migranti, muniti di permesso di soggiorno e di un contratto di lavoro stagionale, che affrontano il quotidiano con coraggio e a monte hanno vissuti, famiglie, relazioni e culture lontane. 

Sarebbe riduttivo dire che il luogo della storia è la parrocchia dei Sale perché le origini e il fattore di successo di questa esperienza, risiedono proprio nella sinergia e nel lavoro di quadra svolto insieme al Comune di Cuneo, la Caritas diocesana, la Croce Rossa italiana, la Parrocchia San Paolo e tre cooperative sociali. Insomma un team in piena regola composto prevalentemente da volontari appassionati e accomunati da un obiettivo comune: dare un contributo nel contenere la precaria situazione abitativa dei migranti e farlo in uno spirito di accoglienza e solidarietà ovvero ricercando la relazione con le persone ed il loro vero benessere.

In maggio e giugno, le parti coinvolte si sono più volte confrontate e i tavoli di lavoro sono stati fervidi e carichi di progettualità.  Si dice che le cose grandi abbiano bisogno di tempo per maturare e realizzarsi, ma il tempo a volte manca o semplicemente bisogna fare in fretta. Nella fretta, il gruppo fa ancor più la differenza: la forza della squadra è stata – ed è –  elemento fondamentale per arrivare a dei risultati positivi.

La stagionalità dell’attività lavorativa agricola dei braccianti genera un significativo afflusso di migranti da giugno a ottobre in Cuneo e provincia (più di undicimila lavoratori stagionali coinvolti). Tale fenomeno sociale e umano non poteva rimanere inascoltato o inosservato ed è stato un vero e proprio richiamo alla comunità cristiana e civile volto ad attivare rapidamente un sistema integrato di interventi per l’accoglienza dei migranti stagionali. 

Il concetto di “sistema integrato” include la capacità del territorio di mappare I reali bisogni dei braccianti e individuare in brevissimo tempo, soluzioni adeguate: mensa, abitabilità, dormitori, tamponi, servizi quali consulenza e orientamento. Le forze in campo devono essere tante e ben armonizzate poiché l’obiettivo comune è decisamente sfidante: Accogliere, Proteggere, Promuovere, Integrare.

La comunità dei Salesiani di Cuneo risponde positivamente all’appello e si fa strada l’ipotesi, poi diventata realtà, di valorizzare le quattro camere con due posti letto ciascuna e bagno con doccia, site al secondo piano della parrocchia. 

Dubbi, incertezze, fatiche, incontri, stanchezze, soddisfazioni: in questa bella storia non manca nulla, ci sono tutti gli ingredienti, persino la semplicità e praticità nell’allestire una sala comune per I  pasti, nonché spazio di ritrovo nei momenti liberi.

Dal 26 luglio 2021 l’accoglienza inizia e gli ospiti soggiornano nelle camere assegnate e portano avanti la loro routine lavorativa avendo una casa per dormire, un luogo dove fare colazione  e trovare degli amici che li accompagnano in questo cammino con iniziative ludiche e di insegnamento della lingua italiana.

Certo, ci sono delle regole per far funzionare bene la convivenza, degli orari di rientro e di uscita, dei vincoli per il bene della coabitazione e non tutti sono disponibili ad accettarle e seguirle. Sono scelte individuali e come tali non vanno giudicate.

Dopo qualche giorno di avviamento, ci si rende conto che gli ospiti hanno piacere di prepararsi cena in autonomia ma i locali disponibili in Parrocchia non lo consentono. Ed ecco che il gioco di squadra emerge nuovamente e si attivano sinergie con la Casa del quartiere (una realtà di animazione e formazione in un quartiere non lontano della Parrocchia) che mette a disposizione gratuitamente I propri locali cucina. L’accoglienza diventa ancora di più occasione di incontro, relazioni e amicizia perché la condivisione del cibo, delle proprie tradizioni culinarie e dei momenti conviviali porta a conoscersi, abbattere I pregiudizi e crescere insieme.

Il buon profumo della solidarietà cresce di giorno e in giorno (il fatto che sia “buono” non vuol dire che sia facile o che il disegno sia immediatamente comprensibile) e porta ad organizzare alcune domeniche pomeriggio nello sport, animate da giovani italiani e stranieri. L’iniziativa allarga ulteriormente gli orizzonti perché partecipano anche “gli amici degli amici” degli otto ospiti della Parrocchia e a quel punto si diventa tutti Famiglia.

E come ogni famiglia che festeggia semplicemente lo “stare insieme”, si conclude l’evento sportivo con un pasto caldo preparato direttamente dai ragazzi ospiti. Perché, in questa storia, il donare è reciproco. Impariamo molte cose dagli amici ospiti in Parrocchia, la prima su tutte è aprire I nostri confini mentali, le barriere culturali, abbattere I pregiudizi del colore della pelle (sembra strano dirlo nel 2021, ma è vero), aprire il cuore e le orecchie all’ascolto. Hanno molto da dire, da raccontare anche solo con la loro presenza .. se ci si pone in una posizione di ascolto.

Come emerge dal dialogo con Irene, una dei tanti volontari coinvolti, la chiave per costruire una relazione vera e paritaria con gli ospiti è la fiducia reciproca e rispetto: grazie a questi fattori, si diventa veramente amici e il dialogo si trasforma in una crescita personale di entrambi. La naturalezza dell’espressività dei migranti in Parrocchia (risate, confidenze, gioco..) è un buon indicatore del loro sentirsi “a casa” e non manca la riconoscenza.

Al momento la durata del progetto è prevista fino al 31 ottobre: lo spirito di solidarietà, la ricchezza dell’esperienza e la fratellanza che ne sono scaturite non hanno scadenza!

Salesiani Cuneo: il servizio di accoglienza dei senza fissa dimora in oratorio

Il Progetto che vede impegnati attivamente l’Oratorio dei Salesiani di Cuneo. Di seguito l’articolo pubblicato dal sito dell’opera.

#ancheiorestoacasa

No, non è l’ennesimo hashtag di questa quarantena, ma il titolo del nuovo progetto che vede i Sale, insieme ad altre realtà del territorio, impegnati nell’accoglienza diurna di un gruppo di persone senza fissa dimora, coloro che comunemente chiamiamo “senza tetto”. Tutti uomini, di età e provenienze molto diverse tra loro, di notte sono ospitati presso il dormitorio della Croce Rossa in via Bongioanni, a due passi da noi.

In un periodo in cui viene ripetuta come un mantra la formula “restate a casa”, è sorta spontanea la domanda: e chi una casa non ce l’ha? Molti dei nostri ospiti se lo sono chiesti sul serio quando, legittimamente, sono stati fermati dalle forze dell’ordine, dal momento che restare “in giro” significa mettere a rischio la propria salute e quella altrui. Insomma, era necessario fare qualcosa, e anche noi dei Sale, quando è stato lanciato l’appello, abbiamo risposto “presenti!”.

La verità è che questa cosa l’oratorio ce l’ha nel suo DNA. Chi, degli oratoriani di ieri e oggi, non si è mai sentito dire che l’oratorio è, prima di tutto, “casa che accoglie”? Chi non ricorda quanti ragazzi senza dimora volle con sé don Bosco a Valdocco?

I nostri “ragazzi” (anche se per ragioni anagrafiche non tutti possono definirsi tali) in questo momento sono sei; arrivano dalla Tunisia, dal Marocco, dal Sudan, dalla Nigeria, dalla Francia e dalla Germania. Per loro apriamo le porte dell’oratorio dalle 12,30 alle 19,30, sette giorni su sette, mettendo a disposizione la sala giovani e il cortile (ormai da più di un mese desolatamente vuoti) e seguendo tutte le misure di sicurezza necessarie.

Per creare davvero una “casa che accoglie”, che restituisca dignità, che faccia sentire sicuri e al tempo stesso liberi (seppur nel rispetto delle poche, ma rigide e chiare, regole), si lavora su un doppio versante: lo spazio e il tempo.

Si è infatti pensato sin da subito ad adeguare (e lo si continua a fare) lo spazio e le strutture, per cercare di soddisfare anzitutto alcuni bisogni primari: ecco dunque la pulizia e la sanificazione quotidiana, una sistemazione che garantisca al tempo stesso la comodità e l’esigenza del distanziamento sociale, la possibilità di riscaldare il pranzo e la cena (che ogni giorno sono portati dalla Caritas diocesana), il necessario per lavare i propri indumenti e, perché no, la possibilità di farsi un caffè o anche solo di avere un bagno tutto per sé.

Ma poi c’è il tempo ed è, in questo caso, il tempo che noi, operatori o semplici volontari, dedichiamo ai nostri ospiti. Tempo che spesso trascorriamo in silenzio, magari durante il riposo, ma sempre a disposizione per ogni esigenza, o che passiamo insieme a giocare a carte o a biliardo, a chiacchierare del più e del meno o a raccontarsi le reciproche vite. Ed ecco che ascoltare le storie, capire i bisogni, metterci a servizio, offrire conforto e vicinanza, farci prossimi, tutto questo rende quel tempo davvero denso e prezioso, quello che fa la differenza in questi strani giorni.

E allora, come per magia, succede ai Sale quello che succede sempre: è il tempo donato all’altro che distingue uno spazio, seppur dignitoso e attrezzato, da una vera “casa che accoglie”.

Joy

Animazione Missionaria: Dove troverà posto per nascere questo Natale? – intervista a Greta Rosa

Quest’anno l’Animazione Missionaria ha donato ai giovani del Corso Partenti un piccolo segnalibro come augurio per il Natale, ideato da una giovane del Movimento Giovanile Salesiano, Greta Rosa. Un disegno che parla di accoglienza, di migranti e di mettersi in cammino. Un dono per i giovani che si preparano a partire per l’esperienza estiva ma anche un monito per tutti noi, per ricordarci di fare posto a Gesù.

Di seguito, una breve intervista alla giovane che ha ideato il segnalibro e un augurio di un Santo Natale da parte di tutta l’Animazione Missionaria.

DOVE TROVERA’ POSTO PER NASCERE QUESTO NATALE?

Intervista a Greta Rosa, ideatrice del segnalibro di Natale.

A chi è Rivolto?
Ogni anno faccio un biglietto di auguri con un messaggio cristiano. Forse non sono troppo brava ad usare le parole e quindi esprimo quello che penso e ho vissuto in un anno attraverso il disegno. È Rivolto a tutti i miei conoscenti e a tutti quelli a cui potrebbe in qualche modo arrivare. In particolar modo ai ragazzi del corso partenti. Poi in realtà è principalmente rivolto a me. 
Quale messaggio volevi trasmettere con questo disegno?
Mi sono chiesta quale posto potesse avere in questo momento, in questo Natale, la nascita di Gesù e se Lui potesse nascere in me, nonostante le contraddizioni che mi fanno pensare che forse non c’è tanto posto per Lui. Prima di tutto è una ricerca in me. 
Perché hai scelto proprio questo tema?
Perché l’accoglienza è una delle contraddizioni che quotidianamente mi interroga. Quanto io sono veramente accogliente verso i migranti ma anche verso i bisognosi e il semplice conoscente. Proprio perché il tema è quello dell’accoglienza: credo sia un bel messaggio per i ragazzi che si stanno preparando ad una missione estiva in quanto “missione” è innanzitutto “accoglienza”.

L’Italia ricambia l’ospitalità di Panama

Ecco le notizie che ci arrivano direttamente da Panama dopo la Giornata Mondiale della Gioventù che si è svolta dal 22 al 27 gennaio 2019. Si pubblica un articolo di “Avvenire” che parla del “ricambio ospitalità” da parte degli studenti dell’Istituto Fermi, della città del Canale, dopo aver accolto nella loro scuola i pellegrini italiani alla Gmg stanno visitando il nostro Paese per un’esperienza di scambio e condivisione.

«Grazie a voi abbiamo trovato nuovi amici».

Buona lettura!

Hanno dato il benvenuto ai coetanei arrivati in Centro America per partecipare alla Gmg, li hanno guidati attraverso le bellezze della città, hanno cantato e giocato con loro. E ora 16 studenti dell’Istituto «Enrico Fermi» di Panama vengono accolti dal nostro Paese che ricambia così l’ospitalità ricevuta.

È una storia di amicizia che affonda le sue radici nel lontano fine Ottocento, quando ad emigrare erano gli italiani, e dopo essersi consolidata si è rinvigorita grazie all’esperienza della Gmg. Da tempo, infatti, i ragazzi che hanno terminato il penultimo anno senza insufficienze possono prendere parte allo scambio culturale con il Convitto Umberto I di Torino che comprende anche la visita di alcune delle principali città della Penisola.

Stavolta però il gemellaggio, che tocca il capoluogo piemontese, Venezia, Roma, Assisi, Firenze e Pisa, ha un qualcosa in più: i ragazzi panamensi ritrovano volti conosciuti durante il raduno mondiale e in particolar modo a «Casa Italia», ospitata proprio nella loro scuola, fondata negli anni ’60 da Stefano Cermelli e che oggi, con un migliaio di studenti di 30 nazionalità, è presidio di eccellenza formativa.

«Per gli alunni, lo scambio culturale è un’occasione irripetibile oltre che un incentivo a studiare», spiega Nino Cermelli, figlio del fondatore dell’Istituto Fermi, che, insieme all’insegnante di italiano Beatriz Beltran, accompagna il gruppo. «Quest’anno – sottolinea – si alimenta dell’amicizia con la comunità ecclesiale e con l’equipe del Servizio nazionale per la pastorale giovanile».

A dimostrazione del fatto che basta aprire le porte e le braccia per fare, ovunque, casa.

Stefania Careddu

Le Testimonianze dei ragazzi:

Ana Lucia

«Siamo stati felici di accompagnare i ragazzi italiani, offrire informazioni turistiche, guidarli per le vie della nostra città, dargli la mano». Così hanno potuto portare via con loro una piccola parte di Panama.

Ana Lucia Ureña sorride quando ripensa ai giovani incontrati nei giorni della Gmg, ai due ragazzi di Torino «che erano felici nonostante si fossero persi», a quelli conosciuti a Casa Italia che sembrava «fossero abituati a stare a Panama, anche se faceva caldissimo mentre ci raccontavano che a casa avevano lasciato freddo e neve». Perché l’accoglienza è una questione di porte aperte e di disponibilità, ma anche di voglia di fare un tratto di strada insieme e di condividere storie, nella consapevolezza che ci si arricchisce a vicenda.

«È come se tutte le persone fossero amiche ed era consolante uscire e trovare qualcuno che pur essendo di un Paese lontano in cui si parla un’altra lingua ti salutava con un hola in spagnolo, come se ti conoscesse», racconta la studentessa dell’Istituto Fermi, anche lei tra i volontari a Casa Italia. «È stata una bellissima esperienza, di scambio tra culture», spiega Ana Lucia che è rimasta impressionata dalla «felicità contagiosa che si vedeva in città» e dai «valori che i ragazzi hanno e riescono a comunicare, come ad esempio l’altruismo e la solidarietà».

«C’è stato però un momento che mi ha colpito tantissimo, cioè quando alcuni giovani hanno sollevato un loro amico in sedia a rotelle per permettergli di vedere Francesco che stava passando», confida Ana Lucia ricordando che «un fotografo ha immortalato l’attimo e quell’immagine è diventata il simbolo di Panama».
«Ciò che mi emoziona è che per fare quel gesto, i ragazzi non hanno potuto salutare il Papa che era lì, a pochissimi metri, ma erano felici lo stesso per il loro amico».

Stephanie Lammie

Nelle due settimane trascorse a Torino per lo scambio culturale con i coetanei del Convitto Umberto I, non ha potuto fare a meno di incontrare quella che chiama “la mia famiglia italiana”». Anche se ospitata in un’altra casa, infatti, Stephanie Lammie ha voluto riabbracciare la mamma, il papà e le due ragazze che hanno accolto sua sorella qualche anno fa e che poi hanno ricambiato la visita recandosi a Panama.

«Sono andata a trovarli e a cenare con loro», dice la studentessa dell’Istituto Fermi confermando la forza del legame che unisce i due Paesi grazie al gemellaggio annuale tra le scuole.

E che quest’anno si è ulteriormente consolidato con l’esperienza della Gmg. Durante il raduno mondiale, Stephanie ha fatto parte del gruppo dei volontari del Comitato organizzatore locale.

«Per alcuni giorni ho fatto servizio d’ordine nelle strade vicine al Canale di Panama che erano blindate per il passaggio del Papa e su cui noi dovevamo vigilare perché nessuno cercasse di oltrepassare le transenne. Poi sono stata in uno dei Punti di informazione per dare assistenza ai pellegrini e lì mi sono divertita molto», spiega la studentessa dell’Istituto Fermi che in entrambe le attività ha avuto modo di incontrare tantissime persone di diverse culture e di sperimentare la bellezza della condivisione.

«Ho impressa una bambina con sindrome di Down che voleva vedere Francesco perché sperava che potesse guarirla, ma sono rimasta colpita da una donna adulta, mamma di due pellegrine, che piangeva e pregava», racconta Stephanie che tra gli italiani a cui ha dato una mano ricorda bene un gruppo che, «alla Messa di apertura, non riusciva più a trovare il suo settore perché, per vedere il Papa, tutti i pellegrini si erano mossi spostandosi dai posti assegnati».

Mariana Lopez

Inolvidable», cioè «indimenticabile».

Usa questo aggettivo Mariana Lopez per definire l’esperienza della Gmg, in cui

«abbiamo potuto vedere il Papa, conoscere tanta gente, cantare e ballare per la strada».

Anche lei è stata una delle volontarie di Casa Italia, avendo scelto di dedicare un po’ delle sue vacanze estive ai giovani provenienti dalle nostre diocesi. Ha infatti assistito i pellegrini rispondendo alle domande, dando loro informazioni, ma anche entrando in empatia con i tanti gruppi che passavano per il quartier generale azzurro.

«Mi sentivo male per loro perché dovevano camminare tanto», confida Mariana che ora sperimenta la bellezza dell’accoglienza qui in Italia, in occasione dello scambio culturale a cui partecipa con alcuni compagni. «Torino è una città molto bella con monumenti e luoghi splendidi come la reggia di Venaria, il Museo Egizio, la Mole Antonelliana, ma pure Venezia con i suoi canali e le vie strette lo è», dice senza esitazione la studentessa, felice di poter essere ora a Roma.

Poi, sorridendo, aggiunge: «Dell’Italia mi piacciono molto anche il gelato, che è diverso da quello che mangiamo a Panama, la pizza, gli gnocchi e gli agnolotti».

Eduardo Stanziola

Una partita a basket o a calcio ed è subito gruppo, squadra, amicizia, perché

«l’obiettivo non è vincere, ma stare insieme e divertirsi».

Per Eduardo Stanziola, 17 anni, è questa l’immagine che meglio di altre restituisce il senso dell’accoglienza e sintetizza cosa è accaduto durante la Gmg, in particolare con i pellegrini che facevano tappa a Casa Italia. A dimostrazione del fatto che l’ospitalità è un gioco da ragazzi, nel significato più vero e profondo dell’espressione.

«Per me è stata un’esperienza totalmente nuova: è stato bello incontrare tanti ragazzi simpatici e amichevoli», confida Eduardo che insieme ad altri studenti dell’Istituto Fermi ha prestato servizio come volontario nella sua scuola trasformata per l’occasione in quartier generale della spedizione azzurra.

«Il compito principale è stato quello di dare informazioni, specialmente sulla città e sul quartiere dove erano concentrati i gruppi di italiani», spiega Eduardo che è rimasto molto colpito dal clima di festa che si respirava a Casa Italia e per le vie di Panama.

«C’era ovunque una sensazione di felicità: tutti ci salutavamo, anche per la strada, come se ci conoscessimo da sempre», sorride il ragazzo panamense i cui occhi brillano ancora quando racconta di aver visto papa Francesco passare a pochi metri di distanza, dopo averlo atteso per tre ore, sotto il sole.

Sofia Melamede

Grazie allo scambio culturale tra l’Istituto Fermi di Panama e il Convitto Umberto I di Torino, Sofia Melamede sta sperimentando nel nostro Paese l’ospitalità, la stessa che con la sua famiglia ha offerto durante la Gmg quando ha aperto le porte della sua casa a due ragazze del Guatemala.

«All’inizio è stato strano, ma da subito ci siamo trovate bene. Erano sempre sorridenti e mi hanno trasmesso tanta energia e felicità: sono diventate persone di famiglia», spiega Sofia che è rimasta in contatto con le due nuove amiche e ha raccontato loro del gemellaggio e del viaggio in Italia.

«Una – racconta – è catechista e l’altra è molto devota a Don Bosco: in loro ho visto una fede immensa e questo mi ha fatto capire che chi è venuto in Centro America lo ha fatto per ascoltare le parole di Francesco e comunicarle poi al proprio Paese».

Per la studentessa panamense, «è stato bellissimo ed emozionante vedere gente di tutto il mondo, giovani che cantavano la stessa canzone, ognuno nella propria lingua, e che erano a Panama perché credevano nello stesso Dio e avevano la stessa fede».

Segno che «la religione è universale» e unisce popoli e culture, in un unico abbraccio.